Cari amici cinquestelle, siamo sotto attacco

Non condivido i toni apocalittici e in stile cospirazionista di Giulietto Chiesa, ma a conti fatti ha ragione, perlomeno dal lato aritmetico. Temo che Grillo, seppure si degnerà di rispondergli, gli farà una solenne pernacchia. Lui ha fattto una scommessa, vuole giocare d’azzardo. Il piatto o nulla, e nulla sarà.

Cari amici del M5S, siamo sotto attacco. E’ un’offensiva scatenata dai “Masters of Universe” per liquidare ogni forma di democrazia reale. [Giulietto Chiesa]

di Giulietto Chiesa da megachip

Cari amici del Movimento 5 Stelle, siamo tutti sotto attacco. E’ un’offensiva scatenata dai “Masters of Universe” e ha per obiettivo la liquidazione di ogni forma di democrazia reale. Il loro portavoce, la JP Morgan, ha scritto la dichiarazione di guerra il 28 maggio scorso dicendoci che le Costituzioni Europee, quelle che ancora hanno una parvenza di democrazia, tra cui la nostra, devono essere epurate. In nome della governance, cioè del potere dei più forti, che ormai non hanno tempo da perdere con i parlamenti. Finita l’era dell’abbondanza alla quale ci hanno addestrati perché consumassimo in modo forsennato, comincia l’epoca dell’austerità. E l’austerità prevede l’imposizione. L’imposizione prevede la cancellazione delle conquiste sociali e dei diritti conquistati negli ultimi cento anni. Questo è il quadro. Ed è chiarissimo. Non lo vedono solo coloro che non lo vogliono vedere. L’attacco sarà – è già – durissimo. Guardare la Grecia. La questione è come difenderci, qui, subito. Dalla loro parte c’è il monopolio della violenza e delle leggi che i maggiordomi hanno approvato per loro conto. Ma c’è anche l’intero sistema della comunicazione-informazione. Dalla loro parte c’è tutto il Palazzo. Chi pensa di poter andare alla battaglia in ordine sparso si condanna alla sconfitta. Io ho aderito alla manifestazione dell’8 settembre in difesa della Costituzione. Ma constato che lo schieramento che si è costituito è ancora debole, non rappresenta che una parte del popolo italiano. Milioni, la maggioranza, non sanno ancora cosa li aspetta. Invece sono milioni coloro che devono far sentire la loro voce. Per questo chiedo , e propongo, che il Movimento 5 Stelle, i suoi gruppi parlamentari, prendano in mano con decisione questa questione. Promuovano, sollecitino, chiamino a raccolta. Senza il M5S questa battaglia non si può vincere. Da solo, il M5S non può vincerla. Non resta che combatterla e vincerla tutti insieme. Poi ciascuno potrà riprendere, da solo o in compagnia, la strada che ritiene più utile. Ma oggi camminare da soli non si deve. 

Giulietto Chiesa 
Presidente Alternativa

Cari amici cinquestelle, siamo sotto attacco

Non condivido i toni apocalittici e in stile cospirazionista di Giulietto Chiesa, ma a conti fatti ha ragione, perlomeno dal lato aritmetico. Temo che Grillo, seppure si degnerà di rispondergli, gli farà una solenne pernacchia. Lui ha fattto una scommessa, vuole giocare d’azzardo. Il piatto o nulla, e nulla sarà.

Cari amici del M5S, siamo sotto attacco. E’ un’offensiva scatenata dai “Masters of Universe” per liquidare ogni forma di democrazia reale. [Giulietto Chiesa]

di Giulietto Chiesa da megachip

Cari amici del Movimento 5 Stelle, siamo tutti sotto attacco. E’ un’offensiva scatenata dai “Masters of Universe” e ha per obiettivo la liquidazione di ogni forma di democrazia reale. Il loro portavoce, la JP Morgan, ha scritto la dichiarazione di guerra il 28 maggio scorso dicendoci che le Costituzioni Europee, quelle che ancora hanno una parvenza di democrazia, tra cui la nostra, devono essere epurate. In nome della governance, cioè del potere dei più forti, che ormai non hanno tempo da perdere con i parlamenti. Finita l’era dell’abbondanza alla quale ci hanno addestrati perché consumassimo in modo forsennato, comincia l’epoca dell’austerità. E l’austerità prevede l’imposizione. L’imposizione prevede la cancellazione delle conquiste sociali e dei diritti conquistati negli ultimi cento anni. Questo è il quadro. Ed è chiarissimo. Non lo vedono solo coloro che non lo vogliono vedere. L’attacco sarà – è già – durissimo. Guardare la Grecia. La questione è come difenderci, qui, subito. Dalla loro parte c’è il monopolio della violenza e delle leggi che i maggiordomi hanno approvato per loro conto. Ma c’è anche l’intero sistema della comunicazione-informazione. Dalla loro parte c’è tutto il Palazzo. Chi pensa di poter andare alla battaglia in ordine sparso si condanna alla sconfitta. Io ho aderito alla manifestazione dell’8 settembre in difesa della Costituzione. Ma constato che lo schieramento che si è costituito è ancora debole, non rappresenta che una parte del popolo italiano. Milioni, la maggioranza, non sanno ancora cosa li aspetta. Invece sono milioni coloro che devono far sentire la loro voce. Per questo chiedo , e propongo, che il Movimento 5 Stelle, i suoi gruppi parlamentari, prendano in mano con decisione questa questione. Promuovano, sollecitino, chiamino a raccolta. Senza il M5S questa battaglia non si può vincere. Da solo, il M5S non può vincerla. Non resta che combatterla e vincerla tutti insieme. Poi ciascuno potrà riprendere, da solo o in compagnia, la strada che ritiene più utile. Ma oggi camminare da soli non si deve. 

Giulietto Chiesa 
Presidente Alternativa

Otto Settembre

di Marco Revelli da soggettopoliticonuovo

Un paese che prende anche solo lontanamente in considerazione l’idea che si debba «garantire l’agibilità politica» a un condannato in via definitiva per una «ciclopica frode fiscale» ai danni dello stato, è un paese che vale poco. Un mondo politico che, fin dai suoi massimi vertici, esprime comprensione per una tale esigenza, è un mondo che ha smarrito il senso del confine tra normalità e indecenza. O che ha fatto dell’indecenza la condizione della normalità. Un sistema dell’informazione che, salvo poche eccezioni, registra compiacente tutto ciò senza un unanime moto di ripulsa anzi mettendoci del suo (si leggano gli editoriali del Corriere della sera), è un sistema che ha smarrito la propria elementare funzione di controllo democratico (e anche il senso della dignità professionale). L’Italia si avvia ad affrontare un passaggio per molti versi drammatico della propria crisi economica e sociale logorata e paralizzata da una crisi morale senza precedenti. L’autunno presenterà conti salati: una disoccupazione che, nonostante la ripresina nord-europea, continuerà a peggiorare (con gli ammortizzatori sociali da rifinanziare). Una fragilità del sistema bancario che continua a strozzare il credito alle imprese e neutralizza anche i limitati vantaggi del tardivo e parzialissimo pagamento della montagna di miliardi dovuti dallo stato (che andranno nella stragrande maggioranza a ripianare i debiti contratti nel frattempo per sopravvivere). L’incombente aumento dell’Iva, che non ha ancora trovato voci alternative di copertura. La necessità di reperire entro l’inizio del prossimo anno i 50 miliardi di euro della prima delle venti rate imposte dal famigerato fiscal compact, vera e propria macina al collo di un paese che stenta a restare a galla. Un livello delle remunerazioni nei settori pubblico e privato bloccato da anni, su cifre ormai ai limiti inferiori della graduatoria Ocse. Da un buco nero di queste dimensioni non si esce senza una straordinaria quantità di energia politica e sociale. Senza uno scatto morale: o, se si preferisce, un’impennata d’orgoglio. Senza il senso di una rottura di continuità, che è cambio radicale di classe dirigente e di personale politico, percezione della possibilità di un «nuovo inizio», come è stato nei momenti cruciali della nostra storia, dalla «crisi di fine secolo» alla «ricostruzione» nel secondo dopoguerra. Invece ci tocca assistere allo spettacolo deprimente di una continuità ossessivamente riaffermata contro ogni «natura delle cose»: l’assemblaggio forzato dei vecchi protagonisti del disastro in una comune maggioranza di governo, uniti nell’unico imperativo di durare sopravvivendo ai propri vizi privati e alle proprie inesistenti pubbliche virtù. Consegnati in ostaggio a uomo finito e alla sua esigenza di prolungare la propria fine oltre ogni limite fisiologico, giorno per giorno, pronto al ricatto a ogni passaggio – l’ineleggibilità, la decadenza da senatore, l’applicazione della sentenza e le misure alternative… – giocando sull’unico atout che gli è rimasto: la golden share governativa. La minaccia del «muoia Sansone con tutti i filistei». Li possiamo già immaginare i prossimi mesi, con il tormentone osceno del «grazia sì, grazia no» («La chiedo, non la chiedo»…). Delle macchine del fango al lavoro e degli infiniti ricorsi fatti solo per guadagnare tempo. Degli aeroplanini in volo sulle spiagge con «Forza Silvio» e degli avversari politici trasformati in imbarazzati testimoni o omologhi complici. Il fatto è che il pasticciaccio brutto di questa primavera, la nascita del governo delle larghe intese, pesa come un macigno. Sta su solo perché le due forze che lo compongono – oltre a essere sostanzialmente omologhe nell’idea di società prodotta dall’establishment economico-finanziario e dalle tecnocrazie europee – sono entrambe fragilissime, sull’orlo di una simmetrica dissoluzione. Lo è il Pdl, di fatto già dissolto nella ri-nascitura Forza Italia, e identificato ormai senza residui nel destino politico del suo capo-padrone. Ma lo è anche il Pd, lacerato tra una miriade di cordate interne senza più alcun rapporto con le rispettive culture politiche (che la leadership del partito verrà contesa tra due ex democristiani, Letta e Renzi, in lotta tra loro, la dice lunga). Da due vuoti potenziali non può nascere un pieno d’azione politica. Ci si può limitare alla manutenzione del disastro, rinviando sine die i nodi da sciogliere, «guadagnando tempo», appunto. Ma con la manutenzione del disastro non si esce dal disastro: lo si può dilazionare. Si possono inventare mille bizantinismi, ma non si evita, prima o poi, la caduta di Bisanzio. È questo il gigantesco non detto del dibattito in corso sul destino della «sinistra» e in particolare del Pd (ma anche di Sel), a cominciare dall’intervento di Goffredo Bettini: la gravità della simmetrica crisi della «parte emersa» del nostro sistema politico (quella su cui sono permanentemente accesi i riflettori dell’informazione ufficiale). L’irrisolvibilità delle contraddizioni accumulate nel corpo di quei due soggetti politici che – ricordate? – nel famigerato passaggio veltroniano-berlusconiano del 2007 e 2008 avrebbero dovuto dar vita a un sistema politico Bipolare, Maggioritario ed Egemonico (si disse proprio così, nella neolingua di allora), monopolizzando l’intero spazio pubblico e bloccandolo rispetto a ogni idea alternativa di società. Quel progetto giace ora in frantumi (che Enrico Letta cerca di nascondere sotto il tappeto della propria azione di governo come la cattiva casalinga fa con la polvere). Ma non ho letto una sola riga di presa d’atto. O di autocritica. Né una sola proposta all’altezza della gravità, sul modo di uscire dall’impasse. E forse non per caso: perché probabilmente a quella crisi non c’è soluzione, se si rimane entro il cerchio magico dell’attuale classe politica, con come unici ed esclusivi protagonisti i soggetti politici esistenti (e potenzialmente falliti). Eugenio Scalfari, qualche giorno fa, su Repubblica, ha evocato il 25 luglio del 1943 (Il 25 luglio è arrivato, il Cavaliere si rassegni), quando appunto Benito Mussolini fu liquidato dal suo stesso partito e finì ai «domiciliari» sul Gran Sasso. Non ha ricordato, credo per scaramanzia, la breve parentesi badogliana e soprattutto la data successiva, l’8 settembre, quando tutto andò giù ed esplose la più grave crisi istituzionale del nostro paese. Eppure val la pena rifletterci, su quelle tormentate vicende. Non solo perché questi primi 100 giorni del governo Letta un po’ ricordano (fatte le debite proporzioni in termini di drammaticità) i «45 giorni di Badoglio», col suo «la guerra continua» a fianco del vecchio alleato e la tendenza a dilazionare la resa dei conti. Ma anche, e soprattutto perché l’8 settembre non è solo (o meglio, non è tanto) il momento della «morte della patria», come è stato affrettatamente definito. È la fine di «quella» patria indegna, e il punto d’origine di un’altra Italia. Fu, nel naufragio della vecchia Italia, un punto di rinascita e di selezione di una nuova classe dirigente, sulla base di una «scelta morale» che si trasformò in risorsa politica. Quella data ci dice che a volte, per ricominciare, bisogna finire. P.S. L’8 settembre è anche il giorno in cui Landini e Rodotà hanno convocato quanti sono consapevoli della gravità della situazione e dell’urgenza di una risposta (e proposta) credibile. Ci saremo in molti, per cogliere questo segnale di speranza. 

 Fonte il Manifesto 17 Agosto 2013

Otto Settembre

di Marco Revelli da soggettopoliticonuovo

Un paese che prende anche solo lontanamente in considerazione l’idea che si debba «garantire l’agibilità politica» a un condannato in via definitiva per una «ciclopica frode fiscale» ai danni dello stato, è un paese che vale poco. Un mondo politico che, fin dai suoi massimi vertici, esprime comprensione per una tale esigenza, è un mondo che ha smarrito il senso del confine tra normalità e indecenza. O che ha fatto dell’indecenza la condizione della normalità. Un sistema dell’informazione che, salvo poche eccezioni, registra compiacente tutto ciò senza un unanime moto di ripulsa anzi mettendoci del suo (si leggano gli editoriali del Corriere della sera), è un sistema che ha smarrito la propria elementare funzione di controllo democratico (e anche il senso della dignità professionale). L’Italia si avvia ad affrontare un passaggio per molti versi drammatico della propria crisi economica e sociale logorata e paralizzata da una crisi morale senza precedenti. L’autunno presenterà conti salati: una disoccupazione che, nonostante la ripresina nord-europea, continuerà a peggiorare (con gli ammortizzatori sociali da rifinanziare). Una fragilità del sistema bancario che continua a strozzare il credito alle imprese e neutralizza anche i limitati vantaggi del tardivo e parzialissimo pagamento della montagna di miliardi dovuti dallo stato (che andranno nella stragrande maggioranza a ripianare i debiti contratti nel frattempo per sopravvivere). L’incombente aumento dell’Iva, che non ha ancora trovato voci alternative di copertura. La necessità di reperire entro l’inizio del prossimo anno i 50 miliardi di euro della prima delle venti rate imposte dal famigerato fiscal compact, vera e propria macina al collo di un paese che stenta a restare a galla. Un livello delle remunerazioni nei settori pubblico e privato bloccato da anni, su cifre ormai ai limiti inferiori della graduatoria Ocse. Da un buco nero di queste dimensioni non si esce senza una straordinaria quantità di energia politica e sociale. Senza uno scatto morale: o, se si preferisce, un’impennata d’orgoglio. Senza il senso di una rottura di continuità, che è cambio radicale di classe dirigente e di personale politico, percezione della possibilità di un «nuovo inizio», come è stato nei momenti cruciali della nostra storia, dalla «crisi di fine secolo» alla «ricostruzione» nel secondo dopoguerra. Invece ci tocca assistere allo spettacolo deprimente di una continuità ossessivamente riaffermata contro ogni «natura delle cose»: l’assemblaggio forzato dei vecchi protagonisti del disastro in una comune maggioranza di governo, uniti nell’unico imperativo di durare sopravvivendo ai propri vizi privati e alle proprie inesistenti pubbliche virtù. Consegnati in ostaggio a uomo finito e alla sua esigenza di prolungare la propria fine oltre ogni limite fisiologico, giorno per giorno, pronto al ricatto a ogni passaggio – l’ineleggibilità, la decadenza da senatore, l’applicazione della sentenza e le misure alternative… – giocando sull’unico atout che gli è rimasto: la golden share governativa. La minaccia del «muoia Sansone con tutti i filistei». Li possiamo già immaginare i prossimi mesi, con il tormentone osceno del «grazia sì, grazia no» («La chiedo, non la chiedo»…). Delle macchine del fango al lavoro e degli infiniti ricorsi fatti solo per guadagnare tempo. Degli aeroplanini in volo sulle spiagge con «Forza Silvio» e degli avversari politici trasformati in imbarazzati testimoni o omologhi complici. Il fatto è che il pasticciaccio brutto di questa primavera, la nascita del governo delle larghe intese, pesa come un macigno. Sta su solo perché le due forze che lo compongono – oltre a essere sostanzialmente omologhe nell’idea di società prodotta dall’establishment economico-finanziario e dalle tecnocrazie europee – sono entrambe fragilissime, sull’orlo di una simmetrica dissoluzione. Lo è il Pdl, di fatto già dissolto nella ri-nascitura Forza Italia, e identificato ormai senza residui nel destino politico del suo capo-padrone. Ma lo è anche il Pd, lacerato tra una miriade di cordate interne senza più alcun rapporto con le rispettive culture politiche (che la leadership del partito verrà contesa tra due ex democristiani, Letta e Renzi, in lotta tra loro, la dice lunga). Da due vuoti potenziali non può nascere un pieno d’azione politica. Ci si può limitare alla manutenzione del disastro, rinviando sine die i nodi da sciogliere, «guadagnando tempo», appunto. Ma con la manutenzione del disastro non si esce dal disastro: lo si può dilazionare. Si possono inventare mille bizantinismi, ma non si evita, prima o poi, la caduta di Bisanzio. È questo il gigantesco non detto del dibattito in corso sul destino della «sinistra» e in particolare del Pd (ma anche di Sel), a cominciare dall’intervento di Goffredo Bettini: la gravità della simmetrica crisi della «parte emersa» del nostro sistema politico (quella su cui sono permanentemente accesi i riflettori dell’informazione ufficiale). L’irrisolvibilità delle contraddizioni accumulate nel corpo di quei due soggetti politici che – ricordate? – nel famigerato passaggio veltroniano-berlusconiano del 2007 e 2008 avrebbero dovuto dar vita a un sistema politico Bipolare, Maggioritario ed Egemonico (si disse proprio così, nella neolingua di allora), monopolizzando l’intero spazio pubblico e bloccandolo rispetto a ogni idea alternativa di società. Quel progetto giace ora in frantumi (che Enrico Letta cerca di nascondere sotto il tappeto della propria azione di governo come la cattiva casalinga fa con la polvere). Ma non ho letto una sola riga di presa d’atto. O di autocritica. Né una sola proposta all’altezza della gravità, sul modo di uscire dall’impasse. E forse non per caso: perché probabilmente a quella crisi non c’è soluzione, se si rimane entro il cerchio magico dell’attuale classe politica, con come unici ed esclusivi protagonisti i soggetti politici esistenti (e potenzialmente falliti). Eugenio Scalfari, qualche giorno fa, su Repubblica, ha evocato il 25 luglio del 1943 (Il 25 luglio è arrivato, il Cavaliere si rassegni), quando appunto Benito Mussolini fu liquidato dal suo stesso partito e finì ai «domiciliari» sul Gran Sasso. Non ha ricordato, credo per scaramanzia, la breve parentesi badogliana e soprattutto la data successiva, l’8 settembre, quando tutto andò giù ed esplose la più grave crisi istituzionale del nostro paese. Eppure val la pena rifletterci, su quelle tormentate vicende. Non solo perché questi primi 100 giorni del governo Letta un po’ ricordano (fatte le debite proporzioni in termini di drammaticità) i «45 giorni di Badoglio», col suo «la guerra continua» a fianco del vecchio alleato e la tendenza a dilazionare la resa dei conti. Ma anche, e soprattutto perché l’8 settembre non è solo (o meglio, non è tanto) il momento della «morte della patria», come è stato affrettatamente definito. È la fine di «quella» patria indegna, e il punto d’origine di un’altra Italia. Fu, nel naufragio della vecchia Italia, un punto di rinascita e di selezione di una nuova classe dirigente, sulla base di una «scelta morale» che si trasformò in risorsa politica. Quella data ci dice che a volte, per ricominciare, bisogna finire. P.S. L’8 settembre è anche il giorno in cui Landini e Rodotà hanno convocato quanti sono consapevoli della gravità della situazione e dell’urgenza di una risposta (e proposta) credibile. Ci saremo in molti, per cogliere questo segnale di speranza. 

 Fonte il Manifesto 17 Agosto 2013

Alcuni nodi al pettine

di Tonino D’Orazio
 

Finalmente lo spettacolo politico-governativo-istituzionale “salviamo l’Italia” entra nella sua fase di acuta ilarità. Tutti fanno e dicono qualsiasi cosa. Tutti si arrampicano sugli specchi. Tutti minacciano o ricattano tutti. Non sanno come liberarsi del “condannato”. Persino Letta: ”Se si va al voto anticipato i cittadini dovranno pagare l’Imu”. Uno spasso feriale.

Berlusconi fa minacciare e poi nega. Bondi, (ma è ancora porta parola?) minaccia la guerra civile. Napolitano sta al gioco, così può ancora permettersi di rimproverare qualcuno. I capi bastoni del Pdl vanno con urgenza dall’amico e gran manovratore Napolitano. O la grazia (magari ingentilita e condita da “agilità politica”), o trova qualche marchingegno, o la crisi, mentre Berlusconi giura che non farà cadere lui il governo. Parole sante. Teatrino efficace. Il problema viene scaricato sul Pd, area menoL, come dicono i grillini. L’elemento centrale e mediatico non è la disoccupazione drammatica ma l’Imu.

Già, il Pd. Il Pdl ha un capo riconosciuto colpevole, evasore a ripetizione, corrotto e condannato come un volgare criminale, e il rischio è che sia proprio il Pd, partito opposto ma amico, a spaccarsi o a dover trovare la soluzione per il “salvataggio”. Roba mai vista in nessuna storia democratica di nessun paese. Il segretario Epifani ribadisce che le sentenze vanno rispettate (ma va!), Berlusconi “in galera”. Ma il governo insieme delle amichevole e nebbiose “larghe intese” deve continuare. Chiede a Berlusconi di farsi da parte. Grande ingenuità, gioco delle parti. Brunetta: “Epifani è un provocatore, vuole far saltare le larghe intese”. Invece controlla chi rimarrà con il cerino acceso in mano. Renzi mette le mani avanti su un eventuale crisi del governo Letta. Lui non c’entra nulla, teme di diventare il capro espiatorio. Le mani nascondono il sasso: “Se non è capace, Letta si faccia da parte”. Ma in che partito milita! Vuole solo un congresso pilotato per lui e la sua cordata, ma se ne difende accusando gli altri di anti-democrazia. Sembra il peggio, il vuoto nuovo e sorridente, che avanza. Il ritorno indietro su Bersani è ridicolo, soprattutto dopo la sua esplicitata furbata nei confronti del M5S. I ponti sono stati tagliati.

Berlusconi, vittima innocente, prova a far condannare il giudice Esposito al posto suo. Intanto lo mette in croce, con tutto il suo staff mediatico, ministri e Rai compreso e mai reso così evidente e ilarante. Strano giudice, in genere molto silenziosi quelli della Corte, che accetta di fare da esca 15 minuti dopo il verdetto. Sembra il giorno della civetta di Sciascia memoria.

Quagliariello, amico di Napolitano che lo piazza dovunque, grande, splendido e isolato “saggio” di destra, nel sentire il pericolo della crisi di governo, chiede di durare almeno ancora un po’, per permettergli di costruire una nuova costituzione personale e tutta sua (Napolitano consiglia soltanto) e di portare a termine, in altre parole, la “riforma” voluta dalla P2 di Gelli e benedetta dalle destre e dalle banche mondiali. Ai primi di settembre. Allora minaccia: “Comunque non si potrà andare a votare prima della modifica della legge elettorale”. Mente. Anche se il Senato “accelera” per un ritorno al non meglio Matterellum nessuno oggi al governo vuole la riforma elettorale con l’abolizione del premio di maggioranza, vera canna dell’ossigeno per sopravvivere, eliminare avversari politici o “governare” senza vera libertà dei parlamentari designati. Anche se in un eventuale disegno di legge ci si possa manipolare, in aggiunta per il bene dell’Italia s’intende, tutta la controriforma costituzionale e rimanere in sella malgrado, o contro, il volere popolare. Anzi questo stesso Parlamento sembra illegale e fuorilegge. “”Non si può andare alle elezioni prima che si sappia se l’attuale Parlamento possa essere dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale”. E se lo è, senza che Napolitano se ne sia accorto s’intende, decadranno tutte le leggi fatte? E da quando se anche i precedenti parlamenti sono nati sotto gli stessi auspici di “illegalità”? E’ incertezza o farsa? Bisogna ridere? Ma no, la nostra fantasia nella “commedia dell’arte” è scritta nella storia. Tutto è possibile, soprattutto l’incertezza che aiuta i poteri forti a spadroneggiare.

Il fuorviante dibattito è sull’Imu. Intanto va avanti velocemente la vendita dei beni che tutti gli altri paesi liberisti dichiarano comuni, l’acqua, l’energia, la funzione pubblica, la salute, quel poco che ci è rimasto … E la controriforma costituzionale. Ci fosse un partito o un movimento che minacci, andando al governo, di riprendersi tutto.

Chissà cosa ne pensa quell’italiano su due che non va più a votare.

Un dubbio atroce si affaccia alla memoria. Non sarebbe meglio riportare al trono i Savoia invece di avere “al governo” e nelle istituzioni, per varie generazioni, figli, o tra poco figlie, nipoti ecc … di arrampicatori di poltrone per discendenza se non a vita?

Bella parola “governare”. In dialetto abruzzese acquista fortemente anche un altro senso: ”Giuvà, si guvernate le vacche?”.

Alcuni nodi al pettine

di Tonino D’Orazio
 

Finalmente lo spettacolo politico-governativo-istituzionale “salviamo l’Italia” entra nella sua fase di acuta ilarità. Tutti fanno e dicono qualsiasi cosa. Tutti si arrampicano sugli specchi. Tutti minacciano o ricattano tutti. Non sanno come liberarsi del “condannato”. Persino Letta: ”Se si va al voto anticipato i cittadini dovranno pagare l’Imu”. Uno spasso feriale.

Berlusconi fa minacciare e poi nega. Bondi, (ma è ancora porta parola?) minaccia la guerra civile. Napolitano sta al gioco, così può ancora permettersi di rimproverare qualcuno. I capi bastoni del Pdl vanno con urgenza dall’amico e gran manovratore Napolitano. O la grazia (magari ingentilita e condita da “agilità politica”), o trova qualche marchingegno, o la crisi, mentre Berlusconi giura che non farà cadere lui il governo. Parole sante. Teatrino efficace. Il problema viene scaricato sul Pd, area menoL, come dicono i grillini. L’elemento centrale e mediatico non è la disoccupazione drammatica ma l’Imu.

Già, il Pd. Il Pdl ha un capo riconosciuto colpevole, evasore a ripetizione, corrotto e condannato come un volgare criminale, e il rischio è che sia proprio il Pd, partito opposto ma amico, a spaccarsi o a dover trovare la soluzione per il “salvataggio”. Roba mai vista in nessuna storia democratica di nessun paese. Il segretario Epifani ribadisce che le sentenze vanno rispettate (ma va!), Berlusconi “in galera”. Ma il governo insieme delle amichevole e nebbiose “larghe intese” deve continuare. Chiede a Berlusconi di farsi da parte. Grande ingenuità, gioco delle parti. Brunetta: “Epifani è un provocatore, vuole far saltare le larghe intese”. Invece controlla chi rimarrà con il cerino acceso in mano. Renzi mette le mani avanti su un eventuale crisi del governo Letta. Lui non c’entra nulla, teme di diventare il capro espiatorio. Le mani nascondono il sasso: “Se non è capace, Letta si faccia da parte”. Ma in che partito milita! Vuole solo un congresso pilotato per lui e la sua cordata, ma se ne difende accusando gli altri di anti-democrazia. Sembra il peggio, il vuoto nuovo e sorridente, che avanza. Il ritorno indietro su Bersani è ridicolo, soprattutto dopo la sua esplicitata furbata nei confronti del M5S. I ponti sono stati tagliati.

Berlusconi, vittima innocente, prova a far condannare il giudice Esposito al posto suo. Intanto lo mette in croce, con tutto il suo staff mediatico, ministri e Rai compreso e mai reso così evidente e ilarante. Strano giudice, in genere molto silenziosi quelli della Corte, che accetta di fare da esca 15 minuti dopo il verdetto. Sembra il giorno della civetta di Sciascia memoria.

Quagliariello, amico di Napolitano che lo piazza dovunque, grande, splendido e isolato “saggio” di destra, nel sentire il pericolo della crisi di governo, chiede di durare almeno ancora un po’, per permettergli di costruire una nuova costituzione personale e tutta sua (Napolitano consiglia soltanto) e di portare a termine, in altre parole, la “riforma” voluta dalla P2 di Gelli e benedetta dalle destre e dalle banche mondiali. Ai primi di settembre. Allora minaccia: “Comunque non si potrà andare a votare prima della modifica della legge elettorale”. Mente. Anche se il Senato “accelera” per un ritorno al non meglio Matterellum nessuno oggi al governo vuole la riforma elettorale con l’abolizione del premio di maggioranza, vera canna dell’ossigeno per sopravvivere, eliminare avversari politici o “governare” senza vera libertà dei parlamentari designati. Anche se in un eventuale disegno di legge ci si possa manipolare, in aggiunta per il bene dell’Italia s’intende, tutta la controriforma costituzionale e rimanere in sella malgrado, o contro, il volere popolare. Anzi questo stesso Parlamento sembra illegale e fuorilegge. “”Non si può andare alle elezioni prima che si sappia se l’attuale Parlamento possa essere dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale”. E se lo è, senza che Napolitano se ne sia accorto s’intende, decadranno tutte le leggi fatte? E da quando se anche i precedenti parlamenti sono nati sotto gli stessi auspici di “illegalità”? E’ incertezza o farsa? Bisogna ridere? Ma no, la nostra fantasia nella “commedia dell’arte” è scritta nella storia. Tutto è possibile, soprattutto l’incertezza che aiuta i poteri forti a spadroneggiare.

Il fuorviante dibattito è sull’Imu. Intanto va avanti velocemente la vendita dei beni che tutti gli altri paesi liberisti dichiarano comuni, l’acqua, l’energia, la funzione pubblica, la salute, quel poco che ci è rimasto … E la controriforma costituzionale. Ci fosse un partito o un movimento che minacci, andando al governo, di riprendersi tutto.

Chissà cosa ne pensa quell’italiano su due che non va più a votare.

Un dubbio atroce si affaccia alla memoria. Non sarebbe meglio riportare al trono i Savoia invece di avere “al governo” e nelle istituzioni, per varie generazioni, figli, o tra poco figlie, nipoti ecc … di arrampicatori di poltrone per discendenza se non a vita?

Bella parola “governare”. In dialetto abruzzese acquista fortemente anche un altro senso: ”Giuvà, si guvernate le vacche?”.

Ossimori

Tonino D’Orazio 

Treccani: “figura retorica che consiste nell’unione sintattica di due termini [ndr.o fatti] contraddittori, in modo tale che si riferiscano a una medesima entità”. L’effetto che si ottiene è quello di un paradosso apparente.
Figura molto utilizzata dai politici in questi anni. L’ossimoro è sintetico e spesso di grande effetto confusionario. Molto spesso per presa per il sedere. Non comporta responsabilità, si può dire tutto e fare il contrario di tutto. Il passato non conta, il presente solo nell’istantanea e il futuro sempre pronto ad avvenire in meglio. Tutto credibile, malgrado la menzogna costante.
Alcuni esempi.
Il ministro italiano della Difesa (o della Guerra?) in merito all’acquisto degli inutili bombardieri F-35: “per amare la pace bisogna armare la pace”! Avremmo bisogno di 40 bombardieri in più. Alzata di scudi. Scuse pronte.
Altri politici avevano già commentato gli avvenimenti internazionali, Bonino compresa, con una “guerra per la pace e la democrazia.” Gli effetti collaterali importano poco. New york, il senatore repubblicano Lindsey Graham: ”Con i droni abbiamo ucciso 4.700 persone. A volte capita di uccidere degli innocenti. Ma siamo in guerra e in questo modo siamo riusciti a eliminare dei membri di alto livello di Al Qaeda”. Solo loro sanno chi sono. L’intelligence americana e la Casa Bianca si sono sempre rifiutate di divulgare numeri e dettagli su attacchi di questi tipo, a cui sempre più spesso e’ ricorsa la presidenza Obama, che li ha classificati come non divulgabili. Ossimoro: ma non è un Nobel per la pace “santo subito”?
L’annuncio solenne sulla lotta all’evasione fiscale globale approntato dal premier inglese Cameron. Ottanta i paesi firmatari fino a oggi, ma mancano ancora i paradisi fiscali più conosciuti, tra cui le Bermuda ancora parte del sistema del Commonwealth inglese, ossia formalmente una dipendenza della Regina. L’importante è dirlo ad effetto oggi. Domani tutti avranno dimenticato.
Si è passati velocemente da “la libertà non ha prezzo” della Resistenza alla monetizzazione dei diritti con il “prezzo della libertà” del neoliberismo. (Quando cominceremo a chiamarlo neofascismo ?).
Ossimoro: “tolleranza zero”. Le leggi scappano in avanti lasciandosi dietro strascichi illegali e insoluti. Proiezione dell’Automobile Club d’Italia. In Italia circolano 4 milioni di veicoli sprovvisti di copertura assicurativa, di cui 2,8 milioni sono autovetture.
Il pilatesco Napolitano “sulla drammatica caduta occupazionale dei giovani”: Le organizzazioni sindacali (eh già!! Gli altri che c’entrano!) “si trovano di fronte a una sfida di grande complessità”: devono (loro) “tenere insieme la prioritaria difesa dei diritti e della dignità del lavoro con l’individuazione degli interventi e degli strumenti innovativi necessari (cosa dare ancora?) per superare la drammatica caduta dell’occupazione specie giovanile”. Scrive Napolitano al segretario generale della Cisl, Bonanni, dopo aver controfirmate in questi anni tutte le leggi più infami e disastrose del mercato del lavoro. Una operazione perfettamente riuscita in questi anni, lacrime della Fornero e piagnisteo continuo della Confindustria inclusi.
I topolini (oppure ossimori) di Letta:
“Per una famiglia-tipo, che consuma circa 2700 chilowatt/ora, lo sgravio si traduce in una riduzione di circa 1 o 2 cent di euro a kw/h, che tradotto su base annuale vuol dire circa 5 euro di risparmi a famiglia. Una beffa, sempre per le famiglie. Magari per le imprese, in particolare per quelle che consumano molto, si tratta di un risparmio che può arrivare anche a 10mila euro. Immediatamente dopo: “Dal primo luglio la bolletta della luce aumenterà di 10 euro all’anno” (veramente dell’1,4%). Sul fronte del gas arriveranno invece notizie migliori, in attesa della fortissima riduzione che scatterà (sempre al futuro) da ottobre per una vera e propria rivoluzione (questa parola rimane un ossimoro da sola) già dal primo luglio ci sarà una riduzione in bolletta dello 0,5/0,8%, che per una famiglia tipo si tradurrà in un risparmio di 12-14 euro all’anno”.
Pensate a Monti e la monotonia del posto fisso quando sentenziò: “Addio all’idea del posto fisso. I giovani devono abituarsi all’idea che non lo avranno. Che monotonia il posto fisso, è bello cambiare”. Oggi dall’alto di un narcisismo inscalfibile dall’insuccesso certifica: “Nel novembre 2011, lasciando l’università per assumere la guida del governo in un momento particolarmente difficile per l’Italia e per l’Europa, dissi che non consideravo concluso il mio impegno in Bocconi e che sarei rientrato per completare il mandato conferitomi fino al 31 ottobre 2014”. Quando ci si affeziona al posto fisso, non bastano nemmeno le multiple pensioni e lo stipendio fisso, che è pur sempre una bella cosa. Anzi, dopo il clamoroso aborto elettorale, aveva l’incredibile pretesa che qualcuno, magari Napolitano, comunque puntasse su di lui come presidente della Repubblica.
Sulle modifiche alla Legge Fornero, che per i lavoratori si deve intendere sempre in peggio, il testo ovviamente tutto a vantaggio dei padroni, è abbastanza definito: ridurre o addirittura eliminare le pause tra un contratto a termine e l’altro (chi dovrebbe farlo?), alleggerire i vincoli sulla causale dei contratti (cioè togliere gli ultimi sembianti diritti rimasti) e allargare i paletti dell’apprendistato (magari facendoli rimanere tali fino alla vecchiaia), sia alleggerendo i vincoli sulla formazione (meglio all’acqua di rose) sia abbassando la percentuale dei contratti che alla fine devono essere stabilizzati (quando si dice no al posto fisso). Gli incentivi all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro potrebbero tradursi in una deduzione Irap (cioè la coperta corta della sanità) per le assunzioni stabili (che qualcuno crede ancora). Abolizione dei contributi previdenziali. Tanto pagherà l’Inps con i soldi degli altri lavoratori. Ma sviluppare il lavoro, soprattutto quello giovanile, prima che tutti scappino da questo paese, significa sempre dare i soldi ai padroni e senza risultati?
Le agevolazioni nell’acquisto dei macchinari, se non polvere, sono fumo (ossimoro) negli occhi: in un paese al 73° posto nella classifica mondiale “Ease of doing business”, 160° su 185 per il rispetto dei contratti, 11° per gravame fiscale e 104° per difficoltà di ottenere credito. Questa misura si configura come un incentivo perverso a “darsi da fare” se ci si riesce. Non è più facile esportarli i macchinari? Magari in Croazia, appena entrata nell’Unione europea, con una valanga di fondi da Obiettivo 1 per lo sviluppo?
I titolari di un’azienda di cosmetici di Chongqing, in Cina, hanno costretto i dipendenti a percorrere in ginocchio una delle piazze centrali della città, di fronte a centinaia di passanti attoniti.
Senza staccare gli occhi dal pavimento, i dipendenti dovevano camminare a quattro zampe: questa strana umiliazione è stata un’idea dei dirigenti per testare la capacità di resistenza, anche psicologica, dei loro lavoratori. L’esperimento è risultato valido o è stato un fallimento? Non lo sappiamo. Vediamo di testarlo in Italia per un approfondimento psico-scientifico e un manuale a futuro utilizzo.

Ossimori

Tonino D’Orazio 

Treccani: “figura retorica che consiste nell’unione sintattica di due termini [ndr.o fatti] contraddittori, in modo tale che si riferiscano a una medesima entità”. L’effetto che si ottiene è quello di un paradosso apparente.
Figura molto utilizzata dai politici in questi anni. L’ossimoro è sintetico e spesso di grande effetto confusionario. Molto spesso per presa per il sedere. Non comporta responsabilità, si può dire tutto e fare il contrario di tutto. Il passato non conta, il presente solo nell’istantanea e il futuro sempre pronto ad avvenire in meglio. Tutto credibile, malgrado la menzogna costante.
Alcuni esempi.
Il ministro italiano della Difesa (o della Guerra?) in merito all’acquisto degli inutili bombardieri F-35: “per amare la pace bisogna armare la pace”! Avremmo bisogno di 40 bombardieri in più. Alzata di scudi. Scuse pronte.
Altri politici avevano già commentato gli avvenimenti internazionali, Bonino compresa, con una “guerra per la pace e la democrazia.” Gli effetti collaterali importano poco. New york, il senatore repubblicano Lindsey Graham: ”Con i droni abbiamo ucciso 4.700 persone. A volte capita di uccidere degli innocenti. Ma siamo in guerra e in questo modo siamo riusciti a eliminare dei membri di alto livello di Al Qaeda”. Solo loro sanno chi sono. L’intelligence americana e la Casa Bianca si sono sempre rifiutate di divulgare numeri e dettagli su attacchi di questi tipo, a cui sempre più spesso e’ ricorsa la presidenza Obama, che li ha classificati come non divulgabili. Ossimoro: ma non è un Nobel per la pace “santo subito”?
L’annuncio solenne sulla lotta all’evasione fiscale globale approntato dal premier inglese Cameron. Ottanta i paesi firmatari fino a oggi, ma mancano ancora i paradisi fiscali più conosciuti, tra cui le Bermuda ancora parte del sistema del Commonwealth inglese, ossia formalmente una dipendenza della Regina. L’importante è dirlo ad effetto oggi. Domani tutti avranno dimenticato.
Si è passati velocemente da “la libertà non ha prezzo” della Resistenza alla monetizzazione dei diritti con il “prezzo della libertà” del neoliberismo. (Quando cominceremo a chiamarlo neofascismo ?).
Ossimoro: “tolleranza zero”. Le leggi scappano in avanti lasciandosi dietro strascichi illegali e insoluti. Proiezione dell’Automobile Club d’Italia. In Italia circolano 4 milioni di veicoli sprovvisti di copertura assicurativa, di cui 2,8 milioni sono autovetture.
Il pilatesco Napolitano “sulla drammatica caduta occupazionale dei giovani”: Le organizzazioni sindacali (eh già!! Gli altri che c’entrano!) “si trovano di fronte a una sfida di grande complessità”: devono (loro) “tenere insieme la prioritaria difesa dei diritti e della dignità del lavoro con l’individuazione degli interventi e degli strumenti innovativi necessari (cosa dare ancora?) per superare la drammatica caduta dell’occupazione specie giovanile”. Scrive Napolitano al segretario generale della Cisl, Bonanni, dopo aver controfirmate in questi anni tutte le leggi più infami e disastrose del mercato del lavoro. Una operazione perfettamente riuscita in questi anni, lacrime della Fornero e piagnisteo continuo della Confindustria inclusi.
I topolini (oppure ossimori) di Letta:
“Per una famiglia-tipo, che consuma circa 2700 chilowatt/ora, lo sgravio si traduce in una riduzione di circa 1 o 2 cent di euro a kw/h, che tradotto su base annuale vuol dire circa 5 euro di risparmi a famiglia. Una beffa, sempre per le famiglie. Magari per le imprese, in particolare per quelle che consumano molto, si tratta di un risparmio che può arrivare anche a 10mila euro. Immediatamente dopo: “Dal primo luglio la bolletta della luce aumenterà di 10 euro all’anno” (veramente dell’1,4%). Sul fronte del gas arriveranno invece notizie migliori, in attesa della fortissima riduzione che scatterà (sempre al futuro) da ottobre per una vera e propria rivoluzione (questa parola rimane un ossimoro da sola) già dal primo luglio ci sarà una riduzione in bolletta dello 0,5/0,8%, che per una famiglia tipo si tradurrà in un risparmio di 12-14 euro all’anno”.
Pensate a Monti e la monotonia del posto fisso quando sentenziò: “Addio all’idea del posto fisso. I giovani devono abituarsi all’idea che non lo avranno. Che monotonia il posto fisso, è bello cambiare”. Oggi dall’alto di un narcisismo inscalfibile dall’insuccesso certifica: “Nel novembre 2011, lasciando l’università per assumere la guida del governo in un momento particolarmente difficile per l’Italia e per l’Europa, dissi che non consideravo concluso il mio impegno in Bocconi e che sarei rientrato per completare il mandato conferitomi fino al 31 ottobre 2014”. Quando ci si affeziona al posto fisso, non bastano nemmeno le multiple pensioni e lo stipendio fisso, che è pur sempre una bella cosa. Anzi, dopo il clamoroso aborto elettorale, aveva l’incredibile pretesa che qualcuno, magari Napolitano, comunque puntasse su di lui come presidente della Repubblica.
Sulle modifiche alla Legge Fornero, che per i lavoratori si deve intendere sempre in peggio, il testo ovviamente tutto a vantaggio dei padroni, è abbastanza definito: ridurre o addirittura eliminare le pause tra un contratto a termine e l’altro (chi dovrebbe farlo?), alleggerire i vincoli sulla causale dei contratti (cioè togliere gli ultimi sembianti diritti rimasti) e allargare i paletti dell’apprendistato (magari facendoli rimanere tali fino alla vecchiaia), sia alleggerendo i vincoli sulla formazione (meglio all’acqua di rose) sia abbassando la percentuale dei contratti che alla fine devono essere stabilizzati (quando si dice no al posto fisso). Gli incentivi all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro potrebbero tradursi in una deduzione Irap (cioè la coperta corta della sanità) per le assunzioni stabili (che qualcuno crede ancora). Abolizione dei contributi previdenziali. Tanto pagherà l’Inps con i soldi degli altri lavoratori. Ma sviluppare il lavoro, soprattutto quello giovanile, prima che tutti scappino da questo paese, significa sempre dare i soldi ai padroni e senza risultati?
Le agevolazioni nell’acquisto dei macchinari, se non polvere, sono fumo (ossimoro) negli occhi: in un paese al 73° posto nella classifica mondiale “Ease of doing business”, 160° su 185 per il rispetto dei contratti, 11° per gravame fiscale e 104° per difficoltà di ottenere credito. Questa misura si configura come un incentivo perverso a “darsi da fare” se ci si riesce. Non è più facile esportarli i macchinari? Magari in Croazia, appena entrata nell’Unione europea, con una valanga di fondi da Obiettivo 1 per lo sviluppo?
I titolari di un’azienda di cosmetici di Chongqing, in Cina, hanno costretto i dipendenti a percorrere in ginocchio una delle piazze centrali della città, di fronte a centinaia di passanti attoniti.
Senza staccare gli occhi dal pavimento, i dipendenti dovevano camminare a quattro zampe: questa strana umiliazione è stata un’idea dei dirigenti per testare la capacità di resistenza, anche psicologica, dei loro lavoratori. L’esperimento è risultato valido o è stato un fallimento? Non lo sappiamo. Vediamo di testarlo in Italia per un approfondimento psico-scientifico e un manuale a futuro utilizzo.

Dalla protesta alla proposta, l’alternativa democratica


di Daniela Passeri
 

Se la fiducia degli italiani nei partiti politici è arrivata alla soglia minima dell’1,5% (Rapporto Istat 2013), dopo il tradimento del voto delle politiche, come si andrà a votare negli oltre 700 comuni che rinnovano sindaco e consiglio comunale domenica 26 e lunedì 27? Con il naso turato, le dita incrociate, in punta di piedi, a occhi chiusi? E soprattutto, quanti andranno a votare?
Alle amministrative l’offerta sfugge agli schemi della cosiddetta pacificazione nazionale del patto transgenico PD-PDL e al monopolio del voto di protesta firmato M5S. Qui la politica, nel senso più autentico di governo della polis, ritrova i suoi connotati più veri. Che, a dispetto della pacificazione, oggi sono di frantumazione, deflagrazione dell’offerta politica nella quale possiamo però scorgere una discreta vitalità.
Il metro e mezzo di scheda-lenzuolo che i romani si porteranno in cabina elettorale (45 liste, 19 candidati, tutti uomini) basta a descrivere questa polverizzazione. Ma come orientarsi nella selva di liste di cittadinanza che in questa primavera piovosa sono sorte come funghi all’ombra dei campanili?
Come discernere tra le macerie fumanti dei partiti che si scompongono in varie affiliazioni nel tentativo di ricomporsi nei ballottaggi, e le espressioni più genuine di quei cittadini che si sono rimboccati le maniche e sporcati le mani nelle strade, nelle piazze e nei luoghi di lavoro, per dire molti no, ma soprattutto per proporre un modello di sviluppo del territorio più sostenibile (piccole opere diffuse a maggiore intensità di lavoro al posto di grandi opere inutili e imposte; riqualificazione energetica degli edifici, politiche di rifiuti zero, etc); per proporre modelli di gestione dei servizi pubblici diversi da quelli privatistici dove anche i rappresentanti dei lavoratori e delle associazioni siedono nei consigli di amministrazione; per proporre la valorizzazione dei beni comuni, cioè delle risorse di una comunità e sottrarli alla dittatura del privato; per proporre un modello di uguaglianza che affermi diritti civili irrinunciabili (ius soli, unioni civili); per proporre il riscatto del lavoro svilito, sfruttato e ricattato con la riformulazione di un’idea di impresa con una visione più ampia di quella del profitto; per proporre e rendere possibile una maggiore partecipazione dei cittadini alla politica e creare un sistema che veda i cittadini affiancare i propri rappresentanti, continuare con loro il dialogo dopo aver apposto una croce su un simbolo; per proporre la difesa della scuola pubblica e laica, come la mobilitazione che ha portato al referendum di Bologna di domenica.
Dunque, è nella capacità di proposta, oltre che di protesta, che troviamo una bussola. Un altro indicatore è poi la capacità di fare rete con altre realtà, di rendere queste proposte tanto più credibili quanto sono replicabili. Sfuggire dunque alla tentazione dell’autosufficienza allargando l’orizzonte ad uno scambio di pratiche, esperienze e proposte che si rafforzano a vicenda.
Un’esperienza in questo senso, un laboratorio significativo, è quello delle liste di cittadinanza, diverse di loro unite nella “Rete dei Comuni Solidali” (la lista “Repubblica Romana” a Roma che candida a sindaco Sandro Medici; “Una città in comune” a Pisa che candida Ciccio Auletta; “Sinistra per Siena” per Laura Vigni; “Brescia solidale e libertaria” per Giovanna Giacopini; “ABC: Ancona Bene Comune” per Stefano Crispiani; “Cambiamo Messina dal basso” per Renato Accorinti.
A queste liste è affidato un passo piccolo ma importante su una strada difficile ma irrinunciabile: essere e mostrare che esiste un’alternativa alla riproposizione di una prospettiva ormai non più in campo quale quella di condizionare “in qualche modo” il PD.
Sono candidati sindaci, liste ed esperienze che costruiscono un’alternativa legata dal filo rosso della democrazia radicale, come scriviamo noi di ALBA con Marco Revelli, lontano da Bisanzio e “fuori dalle mura” di quello che fu il centro-sinistra.
L’intento è quello di proseguire il dialogo anche dopo le elezioni, dagli scranni dei consigli comunali e ancora e sempre nelle piazze e nelle strade come nei luoghi di lavoro. A declinare e testimoniare un sistema di valori comuni là dove invece le liste effimere della mera tattica elettorale scompariranno.
Dietro le liste autentiche di cittadinanza attiva – altro indicatore importante – c’è un elemento soggettivo che non viene mai abbastanza sottolineato che è la passione per la politica che crea e trasforma i legami personali; c’è la condivisione della fatica di giornate passate a volantinare, fotocopiare, scrivere, intensificare il tam tam del social network anche (ma non solo) per uscire dall’oscuramento mediatico e supplire alla carenza di mezzi economici che le liste di cittadinanza, quelle vere, per scelta non posseggono. 


Dalla protesta alla proposta, l’alternativa democratica


di Daniela Passeri
 

Se la fiducia degli italiani nei partiti politici è arrivata alla soglia minima dell’1,5% (Rapporto Istat 2013), dopo il tradimento del voto delle politiche, come si andrà a votare negli oltre 700 comuni che rinnovano sindaco e consiglio comunale domenica 26 e lunedì 27? Con il naso turato, le dita incrociate, in punta di piedi, a occhi chiusi? E soprattutto, quanti andranno a votare?
Alle amministrative l’offerta sfugge agli schemi della cosiddetta pacificazione nazionale del patto transgenico PD-PDL e al monopolio del voto di protesta firmato M5S. Qui la politica, nel senso più autentico di governo della polis, ritrova i suoi connotati più veri. Che, a dispetto della pacificazione, oggi sono di frantumazione, deflagrazione dell’offerta politica nella quale possiamo però scorgere una discreta vitalità.
Il metro e mezzo di scheda-lenzuolo che i romani si porteranno in cabina elettorale (45 liste, 19 candidati, tutti uomini) basta a descrivere questa polverizzazione. Ma come orientarsi nella selva di liste di cittadinanza che in questa primavera piovosa sono sorte come funghi all’ombra dei campanili?
Come discernere tra le macerie fumanti dei partiti che si scompongono in varie affiliazioni nel tentativo di ricomporsi nei ballottaggi, e le espressioni più genuine di quei cittadini che si sono rimboccati le maniche e sporcati le mani nelle strade, nelle piazze e nei luoghi di lavoro, per dire molti no, ma soprattutto per proporre un modello di sviluppo del territorio più sostenibile (piccole opere diffuse a maggiore intensità di lavoro al posto di grandi opere inutili e imposte; riqualificazione energetica degli edifici, politiche di rifiuti zero, etc); per proporre modelli di gestione dei servizi pubblici diversi da quelli privatistici dove anche i rappresentanti dei lavoratori e delle associazioni siedono nei consigli di amministrazione; per proporre la valorizzazione dei beni comuni, cioè delle risorse di una comunità e sottrarli alla dittatura del privato; per proporre un modello di uguaglianza che affermi diritti civili irrinunciabili (ius soli, unioni civili); per proporre il riscatto del lavoro svilito, sfruttato e ricattato con la riformulazione di un’idea di impresa con una visione più ampia di quella del profitto; per proporre e rendere possibile una maggiore partecipazione dei cittadini alla politica e creare un sistema che veda i cittadini affiancare i propri rappresentanti, continuare con loro il dialogo dopo aver apposto una croce su un simbolo; per proporre la difesa della scuola pubblica e laica, come la mobilitazione che ha portato al referendum di Bologna di domenica.
Dunque, è nella capacità di proposta, oltre che di protesta, che troviamo una bussola. Un altro indicatore è poi la capacità di fare rete con altre realtà, di rendere queste proposte tanto più credibili quanto sono replicabili. Sfuggire dunque alla tentazione dell’autosufficienza allargando l’orizzonte ad uno scambio di pratiche, esperienze e proposte che si rafforzano a vicenda.
Un’esperienza in questo senso, un laboratorio significativo, è quello delle liste di cittadinanza, diverse di loro unite nella “Rete dei Comuni Solidali” (la lista “Repubblica Romana” a Roma che candida a sindaco Sandro Medici; “Una città in comune” a Pisa che candida Ciccio Auletta; “Sinistra per Siena” per Laura Vigni; “Brescia solidale e libertaria” per Giovanna Giacopini; “ABC: Ancona Bene Comune” per Stefano Crispiani; “Cambiamo Messina dal basso” per Renato Accorinti.
A queste liste è affidato un passo piccolo ma importante su una strada difficile ma irrinunciabile: essere e mostrare che esiste un’alternativa alla riproposizione di una prospettiva ormai non più in campo quale quella di condizionare “in qualche modo” il PD.
Sono candidati sindaci, liste ed esperienze che costruiscono un’alternativa legata dal filo rosso della democrazia radicale, come scriviamo noi di ALBA con Marco Revelli, lontano da Bisanzio e “fuori dalle mura” di quello che fu il centro-sinistra.
L’intento è quello di proseguire il dialogo anche dopo le elezioni, dagli scranni dei consigli comunali e ancora e sempre nelle piazze e nelle strade come nei luoghi di lavoro. A declinare e testimoniare un sistema di valori comuni là dove invece le liste effimere della mera tattica elettorale scompariranno.
Dietro le liste autentiche di cittadinanza attiva – altro indicatore importante – c’è un elemento soggettivo che non viene mai abbastanza sottolineato che è la passione per la politica che crea e trasforma i legami personali; c’è la condivisione della fatica di giornate passate a volantinare, fotocopiare, scrivere, intensificare il tam tam del social network anche (ma non solo) per uscire dall’oscuramento mediatico e supplire alla carenza di mezzi economici che le liste di cittadinanza, quelle vere, per scelta non posseggono. 


DOPPIOCIECO

Per una Razionalità Moderatamente Pluralista