Dalla protesta alla proposta, l’alternativa democratica


di Daniela Passeri
 

Se la fiducia degli italiani nei partiti politici è arrivata alla soglia minima dell’1,5% (Rapporto Istat 2013), dopo il tradimento del voto delle politiche, come si andrà a votare negli oltre 700 comuni che rinnovano sindaco e consiglio comunale domenica 26 e lunedì 27? Con il naso turato, le dita incrociate, in punta di piedi, a occhi chiusi? E soprattutto, quanti andranno a votare?
Alle amministrative l’offerta sfugge agli schemi della cosiddetta pacificazione nazionale del patto transgenico PD-PDL e al monopolio del voto di protesta firmato M5S. Qui la politica, nel senso più autentico di governo della polis, ritrova i suoi connotati più veri. Che, a dispetto della pacificazione, oggi sono di frantumazione, deflagrazione dell’offerta politica nella quale possiamo però scorgere una discreta vitalità.
Il metro e mezzo di scheda-lenzuolo che i romani si porteranno in cabina elettorale (45 liste, 19 candidati, tutti uomini) basta a descrivere questa polverizzazione. Ma come orientarsi nella selva di liste di cittadinanza che in questa primavera piovosa sono sorte come funghi all’ombra dei campanili?
Come discernere tra le macerie fumanti dei partiti che si scompongono in varie affiliazioni nel tentativo di ricomporsi nei ballottaggi, e le espressioni più genuine di quei cittadini che si sono rimboccati le maniche e sporcati le mani nelle strade, nelle piazze e nei luoghi di lavoro, per dire molti no, ma soprattutto per proporre un modello di sviluppo del territorio più sostenibile (piccole opere diffuse a maggiore intensità di lavoro al posto di grandi opere inutili e imposte; riqualificazione energetica degli edifici, politiche di rifiuti zero, etc); per proporre modelli di gestione dei servizi pubblici diversi da quelli privatistici dove anche i rappresentanti dei lavoratori e delle associazioni siedono nei consigli di amministrazione; per proporre la valorizzazione dei beni comuni, cioè delle risorse di una comunità e sottrarli alla dittatura del privato; per proporre un modello di uguaglianza che affermi diritti civili irrinunciabili (ius soli, unioni civili); per proporre il riscatto del lavoro svilito, sfruttato e ricattato con la riformulazione di un’idea di impresa con una visione più ampia di quella del profitto; per proporre e rendere possibile una maggiore partecipazione dei cittadini alla politica e creare un sistema che veda i cittadini affiancare i propri rappresentanti, continuare con loro il dialogo dopo aver apposto una croce su un simbolo; per proporre la difesa della scuola pubblica e laica, come la mobilitazione che ha portato al referendum di Bologna di domenica.
Dunque, è nella capacità di proposta, oltre che di protesta, che troviamo una bussola. Un altro indicatore è poi la capacità di fare rete con altre realtà, di rendere queste proposte tanto più credibili quanto sono replicabili. Sfuggire dunque alla tentazione dell’autosufficienza allargando l’orizzonte ad uno scambio di pratiche, esperienze e proposte che si rafforzano a vicenda.
Un’esperienza in questo senso, un laboratorio significativo, è quello delle liste di cittadinanza, diverse di loro unite nella “Rete dei Comuni Solidali” (la lista “Repubblica Romana” a Roma che candida a sindaco Sandro Medici; “Una città in comune” a Pisa che candida Ciccio Auletta; “Sinistra per Siena” per Laura Vigni; “Brescia solidale e libertaria” per Giovanna Giacopini; “ABC: Ancona Bene Comune” per Stefano Crispiani; “Cambiamo Messina dal basso” per Renato Accorinti.
A queste liste è affidato un passo piccolo ma importante su una strada difficile ma irrinunciabile: essere e mostrare che esiste un’alternativa alla riproposizione di una prospettiva ormai non più in campo quale quella di condizionare “in qualche modo” il PD.
Sono candidati sindaci, liste ed esperienze che costruiscono un’alternativa legata dal filo rosso della democrazia radicale, come scriviamo noi di ALBA con Marco Revelli, lontano da Bisanzio e “fuori dalle mura” di quello che fu il centro-sinistra.
L’intento è quello di proseguire il dialogo anche dopo le elezioni, dagli scranni dei consigli comunali e ancora e sempre nelle piazze e nelle strade come nei luoghi di lavoro. A declinare e testimoniare un sistema di valori comuni là dove invece le liste effimere della mera tattica elettorale scompariranno.
Dietro le liste autentiche di cittadinanza attiva – altro indicatore importante – c’è un elemento soggettivo che non viene mai abbastanza sottolineato che è la passione per la politica che crea e trasforma i legami personali; c’è la condivisione della fatica di giornate passate a volantinare, fotocopiare, scrivere, intensificare il tam tam del social network anche (ma non solo) per uscire dall’oscuramento mediatico e supplire alla carenza di mezzi economici che le liste di cittadinanza, quelle vere, per scelta non posseggono. 


Cambiare si può – Due ragioni alternative –

di Guido Viale da soggettopoliticonuovo 
Due sono le ragioni – per me e per altre decine di amici e compagni che ho incontrato negli ultimi mesi, ma verosimilmente anche per decine di migliaia di persone che si sono entusiasmate e poi spese per proporre e sostenere la presentazione di una lista di cittadinanza radicalmente alternativa all’agenda Monti – che ci hanno portato a questo passo, pur consapevoli del fatto che si trattava e si tratta di una scelta rischiosa.
La prima ragione è che all’interno dei vincoli dell’agenda Monti, accettati dal centro-sinistra, non è praticabile una politica di promozione o di sostegno dell’occupazione e del reddito della maggioranza della popolazione italiana; così come non è praticabile una politica di equità, di lotta al precariato, di reddito di cittadinanza, di difesa e potenziamento del welfare, della scuola e delle università pubbliche, della ricerca e della cultura.
Per non parlare di un programma di conversione ecologica per un effettivo contributo del nostro paese al contenimento sempre più urgente dei mutamenti climatici e una base produttiva e occupazionale sostenibile in mercati e contesti ambientali che presto saranno radicalmente diversi da quelli a cui siamo abituati.
Chi sostiene il contrario, come i firmatari di un appello per il “voto utile” reso noto alcuni giorni fa – tra cui Piero Bevilacqua, Paolo Leon, Mario Tronti e altri – o come Giorgio Airaudo o Giulio Marcon, che si sono aggiunti ai candidati di Sel, dovrebbero spiegare come pensano di promuovere anche solo una parte di quelle misure.
Come pensano di farlo senza mettere radicalmente in discussione non l’euro, non l’Unione europea, non il suo consolidamento, ma un quadro di vincoli che, con il pareggio in bilancio e il fiscal compact, imporrà all’Italia di sottrarre alle entrate fiscali 150 miliardi ogni anno per pagare gli interessi sul debito e i ratei ventennali della sua riduzione. Una modo in realtà c’è, ed è imbrogliare le carte come sta facendo Monti – in questo degno emulo di Berlusconi – il quale ha presentato una “agenda” tuttofare, che comprende riduzione delle tasse, aumento delle retribuzioni, finanziamenti a scuola università e ricerca pubbliche, reddito di cittadinanza (che per lui è «reddito di sopravvivenza»: una bella identificazione tra cittadinanza e sopravvivenza) e persino green economy. Bisognerebbe per lo meno chiedersi come mai in un anno non ha fatto e nemmeno impostato una qualsiasi di queste misure. Anche senza avere ancora a che fare con i tagli imposti dal fiscal compact…
La seconda ragione è che l’unico modo per attenuare il baratro e il disgusto che separano la classe politica – tutta – dai cittadini chiamati al voto è quella di presentare una lista totalmente nuova e alternativa, nel programma ma anche nelle candidature, pur all’interno dei vincoli imposti dalla mostruosa legge elettorale che in un anno di governo né Monti né i partiti che lo sostenevano hanno avuto la voglia o la capacità di cambiare.
Si è fatta molta retorica sulle primarie del centro-sinistra per la premiership e ora di Pd e Sel per una parte delle loro candidature; ma nessuna di queste pratiche restituisce alla cittadinanza e agli elettori che lo desiderano un ruolo attivo di orientamento e di controllo sul programma, o sull’operato dei loro rappresentanti in parlamento, o su quello del futuro governo. Per questo i promotori dell’appello cambiare#sipuò hanno proposto di spendersi per «un’iniziativa che parta dalle centinaia di migliaia di persone che nell’ultimo decennio si sono mobilitate in mille occasioni, dalla pace ai referendum, e che aggreghi movimenti, associazioni, singoli, pensionati, migranti in un progetto di rinnovamento delle modalità della rappresentanza che veda, tra l’altro, una effettiva parità dei sessi».
E’ evidente che i tempi a disposizione per la definizione e la presentazione della lista non consentono di portare a fondo questo progetto (ma non lo consentirebbero nemmeno se avessimo avuto a disposizione due mesi in più); ma è anche evidente che il modo in cui si affronta questo problema decide del carattere dell’intero progetto, che potrà essere perfezionato in corso d’opera (mi riferisco a tutto l’arco della prossima legislatura) se ci si atterrà a due regole fondamentali.
La prima è stata enunciata il 21 dicembre scorso da Antonio Ingroia nel prospettare la sua candidatura alla testa di una lista unitaria con le caratteristiche di una lista civica. Cioè, i partiti e le organizzazioni politiche che ne condividono le finalità devono fare «un passo avanti» per offrire al progetto il loro sostegno; poi devono fare «un passo di lato», per consentire che si facciano avanti gli esponenti delle lotte, delle iniziative, dei comitati che sono stati i protagonisti della resistenza e dell’opposizione sociale alle politiche governative degli ultimi anni; e, infine, devono fare «un passo indietro» per non caratterizzare in senso partitico questo tentativo (come è stato fatto invece con gli accordi di vertice che hanno portato al fallimento della lista Arcobaleno nel 2008).
La seconda regola è quella adottata dall’assemblea di cambiare#sipuò della provincia di Milano il 16 dicembre scorso: «L’assemblea ribadisce il valore del tentativo di mettere insieme dal basso, e senza vincoli di appartenenza, un primo insieme di persone, di organizzazioni e di forze che si riconoscono in un progetto comune e si impegna, quale che siano l’esito di questa iniziativa elettorale e i risultati conseguiti dalla lista, a riconvocarsi per consolidare e approfondire questo percorso unitario in vista delle battaglie politiche e sociali che ci attendono nei prossimi mesi e anni. Nel caso che la lista porti in parlamento degli eletti, l’assemblea si impegna ad affrontare insieme a loro le questioni in discussione e a costituire dei comitati di sostegno, composti da persone che abbiano competenze nelle materie trattate, per fornire agli eletti tutta l’assistenza necessaria».
Sappiamo che nel corso di molte delle assemblee convocate in tutta Italia da cambiare#sipuò tra il 14 e il 16 dicembre si sono verificati episodi di aperta e violenta contrapposizione che hanno poi trovato puntuale conferma nella presa in ostaggio della seconda parte dell’assemblea del 22 dicembre al Teatro Quirino di Roma da parte di numerosi membri e dirigenti del Prc. In queste assemblee non era e non è mai stato messo in discussione qualcuno dei punti programmatici, ma solo, in maniera a volte esplicita, a volte sottintesa, la modalità di selezione delle candidature.
Questo clima non ha fortunatamente caratterizzato l’assemblea di Milano, anche grazie al modo in cui ne è stata preparata e condotta la presidenza, alternando rigorosamente interventi di uomini e donne, parlando esclusivamente di politiche e rimandando al “dopo” la discussione sulle regole per la selezione delle candidature. Che l’atmosfera fosse positiva lo ho rilevato in un articolo (il manifesto 19-12) e non capisco che cosa mi rinfaccino i firmatari del comunicato “Cittadinanza attiva siamo anche noi”, pubblicato dal manifesto domenica scorsa. Quel “dopo”, comunque, deve ancora venire; perché grazie all’iniziativa di Antonio Ingroia, tra le organizzazioni politiche che sostengono il progetto di una lista unitaria antiliberista, si sono aggiunti al Prc diversi altri partiti, dall’Idv al PdC, dai Verdi al movimento arancione; e sono emerse come protagoniste del progetto molte organizzazioni i cui esponenti hanno sottoscritto l’appello cambiare#sipuò: non solo di Alba, ma anche della Lista civica nazionale, di Su la testa, di Alternativa e di altre ancora.
E’ evidente quindi che occorre trovare un accordo tra tutti nel rispetto delle regole che ho ricordato. Ma a dirimere molte delle incomprensioni che sono intervenute in questi ultimi giorni possono bastare, secondo me, le risposte a due domande, implicite nella mia precedente affermazione secondo cui cambiare#sipuò non è un taxi per portare in parlamento chi non riesce più ad andarci con le sue sole forze. Innanzitutto: a chi risponderanno del loro operato i parlamentari che verranno eletti nella lista unitaria? Ai partiti di appartenenza, se hanno un’appartenenza, o ai comitati che si sono formati e che si formeranno per sostenerli e accompagnarli nel loro percorso, prima e dopo l’elezione? La prima soluzione è la negazione degli impegni presi aderendo a cambiare#sipuò o a “Io ci sto”. La seconda offre la possibilità di mettere l’esperienza di chi ha già, o ha già avuto, importanti incarichi istituzionali o di direzione politica a disposizione dei nuovi arrivati, e di far loro da tutor: senza ricalcare il modello di una carriera politica precostituita che tanti danni ha già fatto. E poi, in attesa che vengano eliminati, come ci auguriamo, i “rimborsi elettorali” e gli altri emolumenti ingiustificati, che sono una delle cause della degenerazione della politica italiana – per essere sostituiti da forme di sostegno alla comunicazione politica paritarie e sostenute con fondi sottoposti a un pubblico rendiconto – a chi saranno destinate le risorse che “eccedono le esigenze del mantenimento e dello svolgimento del mandato” dei nuovi parlamentari? “Alle finalità che verranno loro indicate da queste assemblee”, come recita la mozione di Milano, o al mantenimento di una struttura partitica già esistente? Sappiamo che molti dei partiti che partecipano a questo progetto si sono retti utilizzando i rimborsi elettorali, in vigore, per quel che sappiamo, fino al 2011 anche per quelli che non erano più in parlamento. E’ stato un elemento di forte disparità nei confronti dei movimenti che si autofinanziano; una disparità che, da ora in poi, andrebbe comunque eliminata.

La mossa arancione – Cambiare si può –

di Daniela Preziosi da soggettopoliticonuovo
 
Al voto quelli di cambiare si può: «Non siamo monocromatici, ci rivolgiamo a tutti, chi firma la carta di intenti PD non è con noi». De Magistris: ci sto per vincere

A Roma sala strapiena al lancio delle liste «cambiare si può». Il 14 e il 15 dicembre una nuova mobilitazione. Lungo applauso a Ingroia: «Io non mi tiro indietro»
«Il ventennio berlusconiano ci ha lasciato le macerie delle leggi ad personam. L’Italia è come il Guatemala». E chi altro potrebbe dire una roba così, se non il pm Antonio Ingroia, fra gli applausi del teatro Vittoria, «un paese a sovranità limitata, con le reti criminali che ne considizionano l’economia. È questa la vera anomalia italiana». All’assemblea della campagna Cambiare si può – l’appello dei 70 per far nascere le liste arancioni, primi firmatari Gallino, Pepino e Revelli -, convocata alla vigilia delle primarie con ostentata noncuranza verso il vincitore, sono arrivati in mille da tutta Italia. Nello storico teatro di Testaccio si fanno i turni per entrare, il dibattito è amplificato per chi resta fuori sotto l’acquazzone. Lo diciamo subito, quello del magistrato palermitano non è un intervento fra gli altri. Applausi quando sale sul palco, molti in piedi. Il teatro viene giù quando conclude «io non mi sono mai tirato indietro, sia al palazzo di giustizia di Palermo che fuori. Io sarò con voi, dal Guatemala o dall’Italia». Ingroia è il corteggiato speciale del movimento arancione. Per una candidatura o anche meglio la leadership del futuribile quarto polo. E lui dice sì, o quasi, «la vostra iniziativa è lodevole e necessaria, cambiare si deve, dico di più: si può». Si fa avanti, aderendo al progetto di democrazia radicale, «non serve un salvatore della patria», ai toni anticasta e anti borghesia criminale, «l’antimafia italiana ha avuto come principio il contenimento delle mafie, la politica ha tutelato questo principio per tutelare i legami che aveva con la mafia», «bisogna progettare un politica che abbia l’ambizione di eliminare la mafia, ma non può farla questa classe politica», intendendo quella uscente e anche quella rientrante. Scende dal palco rincorso dagli applausi, dalle strette di mano e dai cronisti: lascerebbe già il suo incarico in Guatemala?, «Non è escluso, tutto è possibile». Intanto una firma ce la mette: sul referendum per il ripristino dell’articolo 18 e per la cancellazione dell’art.8 della legge Sacconi.
De Magistris: autonomi o alleati
Ripartiamo dall’inizio. Perché non è di leadership che si discute, per sette ore senza interruzione, 47 interventi su 220 richieste. Piuttosto di organizzazione, per non evaporare come successe ai girotondi. Fin dall’apertura Livio Pepino dà gambe al progetto, lanciando i «Cambiare si può day» per il 15 e il 16 dicembre. La strada è «unire tutte le forze anticapitaliste» (Antonio De Luca, uno dei 19 operai reintegrati di Pomigliano, altro papabile candidato), «praticare una rivoluzione pacifica di massa, rifondare la democrazia» (Paul Ginsborg, che invece annuncia di non volersi candidare). Dal palco arriva la voce No Tav di Gianna De Masi, quella «No Triv», no alle trivelle, di Guido Claps, fratello della giovane Elisa, uccisa dalla mafia basilisca (uno dei firmatari dell’appello è don Marcello Cozzi, responsabile di Libera in Basilicata e braccio destro di don Ciotti), degli insegnanti (Roberta Roberti, Parma), studenti, medici, l’attore Moni Ovadia, l’economista Giuseppe De Marzo (A sud): tutte le sfumature dell’antimontismo, dall’arancione al rosso di Prc e di Sinistra Critica. In platea voti noti e non, ex lontani o vicini da sempre: l’ex dipietrista Elio Veltri fa una puntatina, il regista Citto Maselli ascolta tutti dall’inizio alla fine.
Fino all’atteso Luigi De Magistris, l’unico sindaco arancione doc che l’assemblea riconosce. Il 12 dicembre a Roma presenterà la sua lista, ci saranno «un veneto attivista contro il nucleare, un siciliano contro il Ponte sullo stretto, un campano contro le discariche». Deve spiegare l’apertura all’alleanze con il centrosinistra, prima o dopo il voto, dichiarata in un’intervista al manifesto. In effetti qui gli appelli a rivolgersi anche a chi ha partecipato alle primarie – gli elettori di Vendola – sono tanti (tra gli altri, Tiziano Rinaldini), ma altrettante le scomuniche: «Una cosa è certa, chi ha firmato la carta d’intenti non sta con noi», dice l’assessore di Napoli Alberto Lucarelli.Eppure il giurista Ugo Mattei, fra i promotori dei referendum sull’acqua del 2011, ha appena svolto l’argomentazione opposta. De Magistris mette insieme tutto: «Le nostre idee sono maggioranza nel Paese. Se vogliamo combattere per vincerle, le elezioni, io ci sto. La sfida è battere le massomafie, realizzare la rivoluzione governando». Quanto alle alleanze «credo nell’autonomia, e con il centrosinistra così com’è ora non mi alleo». E però: «Non mi interessa il diritto di tribuna». Ai cronisti, poi, deve spiegare ancora: «Vendola e Bersani non sono nemici. Vorrei una legge elettorola con le preferenze e l’indicazione della coalizione».
Roma, partiti, e soggetto nuovo
Ieri Cambiare si può ha presentato una traccia di programma di governo, 25 punti dai bene comuni al taglio degli F35, alla difesa della scuola e della sanità pubblica. Ma c’è ancora strada da fare. Intanto nei rapporti interni. «Diciamocelo chiaro: qui non comandano i partiti, no alla riedizione della Sinistra Arcobaleno», si appassiona il toscano Massimo Torelli (Alba). Di quella nomenklatura in sala c’è qualche dirigente Sel in sofferenza (Alfonso Gianni, vicino a Fausto Bertinotti). Ma c’è il Prc al gran completo, dal segretario Ferrero a tanti militanti. Parlano dal palco (non Ferrero) ma a nome di altre militanze (No debito, Social forum). C’è chi chiede un passo indietro comunque. E chi dall’altra parte trattiene il malumore, è un po’ una beffa essere mescolato nel calderone della casta per il solo fatto di aderire a un partito, benché antimontiano, anticapitalista e movimentista. «Siamo lungimiranti», tranquillizza l’ex senatore Giovanni Russo Spena. Il problema non si porrà, se la legge elettorale consentirà a ciascuno di fare le sue liste, per poi unirsi in coalizione. Se no, se ne discuterà. Intanto è già partita la prima lista arancione alle amministrative di Roma. Il candidato è Sandro Medici, «la mia è un’esperienza che sta dentro quest’assemblea».
Anche la partenza verso le politiche è cosa fatta, alla fine un voto lo sancisce. Anche se alcuni saggi consigliano di non precipitare. Così Tonino Perna: «Per insegnare a nuotare a un bambino piccolo non lo butta all’improvviso nell’acqua». E sociologo Marco Revelli, in conclusione: «I ‘Cambiare si può day’ saranno una consultazione nei territori. Ci rivediamo entro dicembre e valutiamo com’è andata». Per vedere se il quarto polo davvero si può.
Fonte: Il Manifesto 2/12/12 


Movimenti a sinistra del PD da Gallino a De Magistris la rincorsa ai voti grillini

di Goffredo De Marchis da soggetopoliticonuovo
 
Tutti puntano al superamento dell´agenda Monti e della carta di intenti democratica. Per molti il candidato premier di questa galassia può essere il pm di Palermo Ingroia

Pezzi di sinistra che vogliono incrociare pezzi di elettorato «in liquefazione». L´astensionismo siciliano (53 per cento) e i sondaggi che danno il non voto a livello nazionale vicino al 40 stanno “accendendo” una serie di movimenti alla sinistra del Pd e anche di Sel. L´ultimo in ordine di tempo è il Manifesto di Marco Revelli, Paul Ginsborg, Luciano Gallino e Livio Pepino. “Cambiare si può” dicono nel titolo e puntano a «creare le condizioni per una presenza elettorale alternativa alle elezioni politiche del 2013». Alternativa a che cosa? A Bersani, a Grillo, a Vendola che «firmando la carta d´intenti del Pd si è vincolato in sostanza all´agenda Monti», spiega il professor Revelli. Si sono dati tempo fino a un´assemblea fissata per il primo dicembre. Se una parte dell´elettorato darà la risposta attesa, se le mille schegge di quel campo riusciranno a trovare un´intesa, la lista elettorale sarà nella scheda.
È una galassia mista e ancora piuttosto confusa. Il che non è certo un vantaggio a pochi mesi dal voto politico. C´è il Movimento dei sindaci, ossia la lista Arancione guidata da Luigi De Magistris, guardata con simpatia da Leoluca Orlando, a caccia di altri sostegni a cominciare da Marco Doria per finire a Giuliano Pisapia (molto complicato). Un tentativo solo abbozzato di creare le condizioni per un “partito” che non avrà i primi cittadini candidati ma la loro benedizione e il loro sostegno. C´è il corteggiamento nei confronti della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici in guerra con Marchionne e al quale l´amministratore delegato della Fiat fa una bella pubblicità con le sue “iniziative” quotidiane. Maurizio Landini, il segretario delle tute blu, ha dichiarato con nettezza che il sindacato non scenderà in campo, non cederà alle lusinghe di nessuno, nemmeno a quelle di Tonino Di Pietro che con Maurizio Zipponi cerca in tutti i modi di agganciare le sue alle lotte degli operai. Ma quel bacino di voti fa gola a molti. «Noi – dice Revelli – ci muoviamo su una proposta molto vicina a quella della Fiom».
L´obiettivo sono i consensi degli astenuti e quelli di Grillo che vengono da sinistra. «Oggi l´unica offerta contro questo governo è il comico – dice Revelli -. Noi ci proponiamo di costruire un altro contenitore per quel tipo di protesta». Fra i firmatari del Manifesto Sabina Guzzanti, Massimo Carlotto, don Gallo, Haidi Giuliani, l´operaio Fiom di Pomigliano Antonio Di Luca, don Marcello Cozzi di Libera. Se il tentativo non potrà ambire a traguardi superiori «alla mini-testimonianza di bandiera» verrà archiviato. Si parla di un target oltre la soglia del 5 per cento. Il termometro saranno le adesioni sul sito http://www.cambiaresipuo.net. La legge elettorale invece è una variabile minore. «Per l´ampiezza dell´elettorato in libertà il sistema di voto ci interessa poco», dice Revelli. E con il Porcellum Antonio Ingroia sembra il candidato premier più adatto.
Ma i movimenti hanno certamente bisogno di un coordinamento perché nello stesso spazio si muove da tempo la Federazione della sinistra, ancora quotata nei sondaggi intorno al 2 per cento. La frammentazione non li aiuterà a raccogliere i voti in uscita e ad arginare il boom dei 5 stelle. Il primo dicembre, giorno dell´assemblea, è subito dopo le primarie del Partito democratico. Che diranno qualcosa su dove andrà il centrosinistra.

Fonte: Repubblica 06.11.2012

SOGGETTO POLITICO NUOVO La nostra lista arancione ALBA – Comitato Esecutivo Nazionale

Non una lista della sola Alba, nessuna riedizione dell’Arcobaleno. Una nuova rappresentanza di lavoro e beni comuni. Primo impegno le firme per i referendum
 
 
È arrivato anche per noi il momento di prepararci a saltare (Hic Rhodus, hic salta…). Di prepararci cioè a decidere sul che fare in vista delle elezioni politiche, con una discussione all’altezza dei propositi del nostro manifesto, che non ne tradisca né il merito né il metodo. Da Parma in poi abbiamo detto che non stiamo con il Pd che sostiene Monti, né nelle sue primarie prive di un orizzonte decente di contenuti; che vogliamo costruire un’alternativa a questo governo, al neoliberismo e alle politiche di austerità europee.
Diciamo subito che questa discussione non parte da zero. Che alcuni punti fermi già ci sono:
1. La questione dell’urgenza. Abbiamo detto che ci muovevamo perché avvertivamo che non c’era più tempo. Che la crisi dei partiti tradizionali aveva raggiunto un punto tale da minacciare di contagiare le istituzioni e la stessa democrazia.
2. Il rifiuto di un nuovo partitino. Un “soggetto politico nuovo”, non un “nuovo partito politico” per dire che si voleva avviare un processo di cambiamento radicale e totale nel modo di costruire e concepire la rappresentanza, non dare vita a una nuova micro-formazione tra le altre.
3. Il metodo è il contenuto. Abbiamo ripetuto fino alla noia che la nostra identità consisteva nella volontà di uno stile diverso di fare politica, altri valori, certo, ma anche altri metodi.
Ora, questi tre punti, ci dicono che cosa non possiamo fare.
1. Non possiamo far finta di niente. Non possiamo “saltare un giro”. La crisi della politica è talmente profonda che apre uno spazio immenso: c’è oggi una massa di elettrici ed elettori “liquida”, in uscita massiccia dai contenitori tradizionali. Questa “liquidità” politica è insieme una risorsa e una minaccia. Saltare l’agenda elettorale dei prossimi mesi comporta il rischio di non esistere nel momento forse più importante della nostra storia repubblicana.
2. Non possiamo coltivare il “peccato” dell’autosufficienza. Non possiamo cioè pensare a una “lista Alba”, né possiamo veicolarci nei e con i partiti esistenti. La situazione non offre spazi a una soluzione identitaria e non siamo nati per questo.
3. Non vogliamo un’altra “sinistra arcobaleno”. Un assemblaggio di sigle e partitini messi insieme con riunioni di vertice, accordi di segreteria e manuale Cencelli.
4. Non vogliamo affrontare la questione elettorale partendo dal tema delle alleanze e delle variabili delle leggi elettorali, ma partendo dai contenuti, dal progetto e dalle forme radicalmente nuove di pratica politica.
5. Non possiamo utilizzare i vecchi schemi. Siamo tra coloro che elaborano un’altra idea di come uscire dalla crisi economica, contenuti alternativi al pensiero neoliberista dominante. Abbiamo anche chiaro che la crisi non è solo di “economia” ma di cultura e di democrazia, in questa fase costituente del neoliberismo, che mira a liberarsi insieme della mediazione con il lavoro e della democrazia
Dentro queste coordinate ogni soluzione è aperta, affidata alla discussione che condurremo collettivamente. Tutto è affidato alla nostra capacità di dar vita a una discussione e a un’elaborazione davvero collettiva, nelle prossime settimane.
La proposta su cui intendiamo confrontarci e lavorare è la presentazione alle elezioni di una lista di democrazia radicale, una lista “arancione”, per un’altra Europa, antiliberista, per il lavoro e per i beni comuni, per la giustizia ambientale e sociale. Una lista che dia voce a quell’Italia vasta, tutt’altro che minoritaria, che tra il 2010 e il 2011 ha mosso il paese e prodotto la rottura culturale vera con il berlusconismo.
Non pensiamo a una lista della sola “Alba”, sappiamo che tante e tanti altri stanno elaborando idee, praticando relazioni politiche e conflitti sociali. Pensiamo alle battaglie della Fiom e dei No-Tav, a quelle del Teatro Valle o del Macao per l’autogestione degli spazi comuni, alla proposta di De Magistris, alle riflessioni di Micromega, agli appelli che stanno uscendo da più realtà.
Proponiamo di ripartire dal lavoro, dalla difesa dei suoi diritti e della sua dignità. Dal lavoro inteso come relazione politica complessiva, appartenenza a una comunità, cioè capace di riconsiderare i tempi della produzione e della riproduzione, la cura del lavoro e il lavoro di cura, i ruoli e le relazioni fra i generi.
Questa non è tanto o solo un’alternativa “di sinistra”, è qualche cosa che può parlare a un mondo molto più vasto. L’opposto del minoritarismo, costruzione di nuova egemonia. Dobbiamo puntare altissimo, non esiste una via di mezzo.
Per questa proposta è di fondamentale importanza la campagna referendaria che sta aprendosi. Un’azione diffusa di presa di coscienza popolare, che riempia della realtà della democrazia i mesi che precedono la campagna elettorale.
Alla fine di questo percorso dovremo valutare insieme le risposte che avremo, il grado di coinvolgimento realizzato.
Possiamo e dobbiamo verificare l’esito di questo percorso con gli strumenti democratici che sono già elementi fondanti della nostra bozza di statuto, ovvero con una consultazione vincolante referendaria.
Soltanto dopo questo indispensabile percorso aperto di verifica affronteremo la questione delle alleanze, anche in base alla legge elettorale che ci sarà.
Un’ultima considerazione: è vero che una lista non è un soggetto politico. Essa può costituire tuttavia un passo avanti nel processo di costruzione della nuova soggettività politica. Proprio per questo si richiedono regole nuove e radicalmente democratiche per selezionare candidature, incarichi, funzioni. Mettiamoci in cammino.
 

Via tutti. Un nuovo soggetto politico subito

Adesso senza tanti giri di parole un nuovo soggeto politico venga fuori, si manifesti e proponga all’Italia e agli italiani un patto politico per il bene delle persone e della terra in cui viviamo. 
Via il marciume e via i falsi salvatori della patria. Via tecnici e banchieri, via i settari e gli utopisti senza fissa dimora. Va i diffidenti, i cospirazionisti e gli alternativi a tempo pieno. 
Si facciano avanti coloro che sono in grado da subito di operare per il bene comune. 
Se non ora quando.

 

Che ne dite di un referendum per i beni comuni?

di Alberto Lucarelli da soggettopoliticonuovo

Acqua, suolo, laghi, spiagge, fiumi, foreste, musei e monumenti sono un patrimonio di tutti e non possono essere privatizzati. Un comitato di giuristi e intellettuali. da Maddalena a Settis, propone un testo serio su cui iniziare a raccogliere le firme. Assemblea pubblica domani a Roma
Care/i, stiamo vivendo una situazione sociale e politica molto difficile. La crisi continua ad espandere il catalogo delle ingiustizie sociali ed ambientali. Gli effetti delle politiche del governo e dell’Ue stanno provocando conseguenze disastrose nelle vite della maggioranza dei cittadini, erodendo qualsiasi speranza per il futuro. Il silenzio e l’apatia della classe dirigente politica aumentano il peso della crisi e tendono a confermare quello che il pensiero unico continua a dire da anni: there is no alternative.
Noi invece crediamo che le alternative ci siano, ma vadano costruite con pratiche e proposte diverse rispetto a quelle messe in campo. Noi crediamo che solo attraverso una piena e consapevole partecipazione dei cittadini e delle cittadine la democrazia del nostro paese potrà essere in grado di frenare la distruzione di diritti operata dal modello economico liberista così caro agli attuali governanti. Crediamo che una forte mobilitazione dal basso sia indispensabile per mettere al centro dell’agenda del paese il dibattito sui principali temi che investono la vita delle persone. Temi come la difesa dei beni comuni, il lavoro, le alternative alla crisi, la riconversione ecologica delle attività produttive, una politica estera di pace e cooperazione, potranno entrare nell’agenda politica solo se i movimenti, le associazioni, i sindacati e la società civile saranno in grado di farli vivere nel paese reale.
L’efficienza economica è diventata oggi l’unica principio che guida la società e la costruzione delle relazioni socio-economiche. È questo il principio sul quale fonda la sua etica il pensiero unico. L’assenza di alternative in grado di opporsi a quest’idea deformante della società e del diritto ha causato la rottura dell’equilibro del rapporto tra giustizia e sostenibilità, tra proprietà comune o collettiva e proprietà privata. L’aumento delle diseguaglianze sociali, la distruzione ambientale, la precarizzazione del lavoro e della vita, i tentativi di completa mercificazione e privatizzazione dei beni comuni, sono la conseguenza delle politiche messe in campo dal pensiero unico.
Assistiamo ad un inaccettabile trasferimento della sovranità dal popolo a speculatori finanziari, manager di grandi imprese e banchieri. Siamo addirittura al paradosso in cui i giudizi di mercato vengono riconosciuti come vincolanti nelle scelte giuridiche, come nel caso degli spread o delle transazioni finanziarie. Tali riconoscimenti e stravolgimenti dell’ordine giuridico sono palesemente in contrasto con la nostra Costituzione. Riconoscere tutela giuridica a interessi speculativi è contrario alla legalità costituzionale in quanto interessi che per loro finalità non sono meritevoli di tutela. I giudizi dei mercati non possono essere giuridicamente vincolanti perché violano l’art. 42 della nostra Costituzione.
Per questo crediamo sia possibile e giusto mettere in campo un referendum abrogativo che blocchi la privatizzazione dei beni comuni. Un referendum che serva allo stesso tempo ad aprire un dibattito nel paese in un momento storico nel quale gli spazi per la discussione su temi fondamentali della vita sembrano essere stati chiusi da una politica distante, distratta e miope. Pensiamo tra l’altro che sia utile che i cittadini e le cittadine possano essere interrogati e dire la loro su questioni fondamentali come quelle che poniamo in un periodo così importante per la vita democratica di una nazione come sono le elezioni politiche.
Abbiamo avuto la disponibilità di importanti intellettuali – Maddalena, Mattei, Schinaia, Vittozzi, Montanari, Settis – che hanno messo in campo un quesito capace di bloccare alcuni degli effetti delle politiche del governo Monti sul tema dei beni comuni (il testo è in calce, ndr).
Pensiamo che questa iniziativa referendaria possa nascere e crescere solo se saranno i soggetti sociali del paese a portarla autonomamente avanti. Questo referendum appartiene a tutti e non è di nessuno, esattamente come lo sono i beni comuni. Questa è la modalità con la quale vorremmo costruire insieme a tutti il comitato referendario, attraverso le pratiche della democrazia partecipata e comunitaria.
Ci rendiamo conto che i tempi sono stretti, ma il fatto che a metà ottobre si inizieranno a raccogliere le firme per i referendum sul Lavoro potrebbe essere utile.
Vorremmo confrontarci con tutti voi e con quanti più soggetti sociali che in questi anni si sono impegnati per difendere i beni comuni per capire se sia possibile mettere in campo un comitato promotore del referendum, capace di raccogliere le firme e mettere in moto un’iniziativa politica nazionale così ambiziosa.
Per queste ragioni vorremmo invitarvi tutti e tutte ad una riunione da tenersi a Roma per mercoledì 19 settembre presso il Teatro Valle Occupato alle ore 15.
Nella speranza di poterci incontrare e camminare in tanti e tante, vi salutiamo con affetto
Referendum abrogativo
Quesito: Vuoi che siano abrogate le disposizioni legislative che consentono l’alienazione dei beni comuni ambientali e culturali, come le sorgenti d’acqua, i laghi, i fiumi, le spiagge, i boschi, le foreste, i beni artistici e storici, ecc., e, pertanto, siano deliberate, nei limiti sotto indicati, le abrogazioni parziali delle seguenti leggi o atti avente valore di legge?
– in riferimento alla legge 23 novembre 2001, n. 410, che prevede la vendita del patrimonio immobiliare pubblico dello Stato, sono abrogati: all’art. 1, comma 1, all’ultimo rigo, le parole «distinguendo tra beni demaniali» e la parola «indisponibile»; all’art. 3, comma 1, le parole «L’inclusione nei decreti produce il passaggio dei beni al patrimonio disponibile»; all’art. 3, comma 8, le parole «ai sensi del comma 13»; all’art. 3, l’intero comma 13;
– in riferimento alla legge 6 agosto 2008, n. 133, che prevede la vendita degli immobili pubblici delle regioni, province ed altri enti locali: sono abrogati, all’art. 1, comma 2, le parole «ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile»;
– in riferimento alla legge 15 giugno 2002, n. 112, istitutiva della Patrimonio Stato S.p.A., sono abrogati: all’art 7, comma 10, secondo rigo, le parole «e indisponibile», nonché la frase da «sui beni immobili» a «a favore dello Stato»;
-in riferimento al decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 sul «federalismo demaniale», relativo alla regionalizzazione del demanio statale idrico e marittimo, nonché alla provincializzazione di parte di detti demani, consentendone, in ultima analisi, la vendita a privati, sono abrogati: il comma 5, lett. e) dello stesso art. 1 ; il comma 4, dell’art. 2; il comma 1, lett. a) e b), dell’art. 3; il comma 2, dell’art. 3; l’ultima frase del comma 1, dell’art. 4; le lett. a) e b) del comma 1, dell’art. 5; le parole da «quanto salvo» a «presente articolo», contenute nel comma 2 dell’art. 5; il comma 5 dell’art. 5;
-in riferimento all’art. 23-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135, relativa alla spending review (il quale, a proposito dell’alienazione di beni comuni, aggiunge talune disposizioni dopo il comma 8-bis dell’art. 33, della legge 15 luglio 2011, n. 111), sono abrogate: la frase «possono altresì essere conferiti o trasferiti ai medesimi fondi i beni valorizzabili, suscettibili di trasferimento ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. e), del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85», la frase «limitatamente ai beni di cui all’art. 5, comma 1, lett. e), sopra richiamato», la frase «ovvero con apposita deliberazione adottata secondo le procedure di cui all’art. 58 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, anche in deroga all’obbligo di allegare il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari al bilancio», ed infine la frase «l’inserimento degli immobili nei predetti decreti ne determina la classificazione come patrimonio disponibile dello Stato».
Fonte: Il Manifesto 18/09/12 

La democrazia respira

da soggettopoliticonuovo 

La Corte Costituzionale si pronuncia contro l’obbligo alla privatizzazione dei servizi pubblici locali difendendo il risultato dei referendum.

Questa è una vittoria politica, non solo giuridica, frutto di un’iniziativa POLITICA di un gruppo di giuristi e sottoscritta da migliaia di italiani nell’agosto 2011, in diretta continuità con la vittoria referendaria.
Questa notizia è passata sottotraccia nella maggior parte dei media, quindi sta a noi, ad ALBA, spiegare ciò che è successo e cosa significa.
Più sotto c’è spiegato il percorso che ha portato a questa vittoria, ma per darci una mano scarica e diffondi fra i tuoi contatti (mail, social network o il caro e vecchio volantinaggio) i materiali che mettiamo a disposizione (li stiamo producendo, quindi li aggiorneremo presto!)
I materiali sono a fondo pagina, mentre potete vedere la video intervista di Alberto Lucarelli su YouTube

La Corte Costituzionale si pronuncia contro l’obbligo alla privatizzazione dei servizi pubblici locali difendendo il risultato dei referendum.
Questa è una vittoria politica, non solo giuridica, frutto di un’iniziativa POLITICA di un gruppo di giuristi e sottoscritta da migliaia di italiani nell’agosto 2011, in diretta continuità con la vittoria referendaria.
Questa notizia è passata sottotraccia nella maggior parte dei media, quindi sta a noi, ad ALBA, spiegare ciò che è successo e cosa significa.
Più sotto c’è spiegato il percorso che ha portato a questa vittoria
, ma per darci una mano scarica e diffondi fra i tuoi contatti (mail, social network o il caro e vecchio volantinaggio) i materiali che mettiamo a disposizione (li stiamo producendo, quindi li aggiorneremo presto!). I materiali sono a fondo pagina, mentre potete vedere la video intervista di Alberto Lucarelli su YouTube

Cronologia di un percorso politico

agosto 2011 memorandum dell’Europa all’Italia viene resa pubblica la lettera e viene immediamente predisposta una manovra economica, in forma di DECRETO LEGGE: decreto di Ferragosto, che taglia per decine di miliardi e attacca diritti fondamentali (nell’art.4 ribalta il risultato referendario di 2 mesi prima, nell’art. 8- recependo il modello Pomigliano- che gli accordi aziendali possono non rispettare le leggi). Il Decreto viene emanato dal Presidente Napolitano il 13 agosto 2011.
Era la seconda manovra il 20 giorni, all’emanazione della prima il presidente Napolitano dichiarò che era stato un “miracolo”. 14 agosto 2011 fu lanciato un appello contro una manovra incostituzionale promosso dai giuristi estensori dei referendum sull’acqua, Alberto Lucarelli, Ugo Mattei, Luca Nivarra e Gaetano
Azzariti.

http://www.siacquapubblica.it/index.php?…
28 agosto 2011 in base a quest’appello due giuristi, da lì a pochi mesi promotori di ALBA, Alberto Lucarelli e Ugo Mattei fecero una lettera aperta a Vendola per “ricevere mandato”, naturalmente a titolo assolutamente gratuito, da soli o insieme ad altri legali di Sua fiducia, a rappresentare la Regione Puglia (ed incidentalmente la
nuova egemonia dei beni comuni) di fronte alla Consulta in un ricorso diretto di incostituzionalità del Decreto 138\2011.

http://www.ilmanifesto.it/…
L’appello del 28 agosto e la proposta di ricorrere alla Corte furono osteggiati da chi non condivideva la critica al presidente Napolitano, che, come garante della costituzione, aveva emanato un testo palesemente in contrasto con la Costituzione.
Non solo, Lucarelli e Mattei furono accusati da parte di alcuni referendari di eccesso di protagonismo per finalità politiciste.

1 settembre 2011 come presidente della Regione Puglia, Vendola rispose positivamente a questa richiesta.
http://www.siacquapubblica.it/…
20 luglio 2012 il giudizio della Consulta, che oltre al merito straordinario della materia, afferma, come oggi dichiara Stefano Rodotà, il rifiuto della logica emergenziale in economia che pretende di travolgere tutto, Costituzione compresa.
Questa sentenza mostra che in nome della crisi e del ritornello L’Europa lo chiede non si può fare tutto.
Possiamo dire che i fautori del pensiero unico in nome de L’Europa lo chiede hanno perso e che questo risultato rappresenta un passaggio fondamentale intorno al quale le forze democratiche di questo Paese dovranno ritrovarsi per indicare strade alternative alle politiche liberiste di Monti per uscire dalla crisi come detto con forza da Lucarelli e Mattei http://www.soggettopoliticonuovo.it/…
Sul valore di questa vittoria riportiamo l’articolo di Lucarelli e Mattei su Il Manifesto
http://www.soggettopoliticonuovo.it/…

La Democrazia Respira – il poster

 

Cari professori la vostra idea di democrazia rappresentativa non mi convince

Cari professori la vostra idea di democrazia rappresentativa non mi convince per molte buone ragioni, tutte derivate dall’impraticabilità in sé dell’idea stessa, così come l’avete concepita, e non certo dall’essere io un seguace di una qualsivoglia teoria elitista variamente travestita, che vede nel popolo “la grande bestia” o l’eterno infante bisognoso di guida sicura. 
La vostra idea di democrazia  benché vecchia poggia su una consapevolezza  certamente più matura e più aggiornata di quella che poteva essere quella dei giovani di Seattle o prima ancora quella di tanti movimenti che si perdono nella notte dei tempi. Il dato nuovo e se vogliamo e anche più “distensivo”, è che non si parla più di rivoluzione, di palingenesi, di nuovi avventi, di dialettiche della storia che compiono finalmente l’evoluzione tanto attesa, nemmeno di classi sociali. La vostra visione del mondo, a me che non sono un professore, ma piuttosto un ignorante con la smania del ragionamento, appare piuttosto una riedizione tardiva dell’illuminismo. L’idea di bene comune, di giustizia come ideale razionale e di crescita delle coscienze, come fari dell’esercizio intellettuale. Un’idea che spazza via ogni apparenza mendace del potere, volto solo alla sua conservazione di se stesso e non certo alla saggia amministrazione delle cose terrene. Eppure. 
Ho passato diverse stagioni politiche fra le quali quella di Social Forum, seguita al grandioso movimento sfociato nel G8 di Genova. Anche allora l’idea di una diversa rappresentanza era forte, anche allora si parlava di diversità come di ricchezza, anche allora ci si poneva il problema di un percorso da seguire, di un camminare domandando, senza sapere esattamente dove si sarebbe arrivati. Ricordo che io e un altro compagno “americano” tentammo nel nostro piccolo di introdurre nuove metodologie di discussione e di lotta, mutuate dai movimenti americani, nel tentativo di mettere ordine a quelle concitate, rabbiose e appassionate assemblee all’italiana (la passione spesso sconfinava nell’insulto, ma sembrava che il confronto dovesse essere per forza così), ultimo residuo di un romanticismo sussunto in un ideale di stampo positivistico.
Per un attimo sembrava stessimo mettendo radici, poi d’un tratto, il nulla. I Social Forum evaporarono come neve al sole. Mancava, oltre ad una centralità degli interventi, rifiutata come antitesi di un “nuovo soggetto” emergente, la ricompensa, l’obiettivo finale, il brivido della scommessa, quei fattori che scaldano l’anima animale dell’uomo. 
Oggi per fortuna abbiamo fatto tesoro di quelle esperienze e vedo con sollievo che ci si è posto da subito un obiettivo concreto, lasciando da parte le mistiche “marcosiane”: quello del ricambio della classe dirigente e della fine del vecchio modo di fare politica. L’errore, a mio modestissimo avviso, e qui sta il punto, sta nel prefigurare obiettivi generali nella speranza di delinearne poi i contorni attraverso l’esercizio della democrazia rappresentativa. Un errore di tipo ideologico che assomiglia a una sorta di induttivismo mutuato dalle scienze pratiche e ammantato di filosofia delle moltitudini: si procede dal particolare per arrivare al generale. Niente di male in linea di principio, ma perdonatemi la franchezza e la presunzione, non funziona. Voi siete degli intellettuali di prim’ordine, le migliori intelligenze di questo paese disastrato, siete la nostra coscienza critica. Voi avete non solo il diritto, ma anche il dovere di fare una proposta compiuta per uscire dalla crisi. La democrazia rappresentativa deve essere la conseguenza di una  proposta ben congegnata e ben articolata, e noi società civile dobbiamo essere il laboratorio dove realizzare un progetto di società. La democrazia dovrebbe essere la ricaduta sul piano sociale e politico di un’idea o se volete di un procedimento ipotetico-deduttivo messo a punto dalle vostre intelligenze. Pensare per ideologia che da un massa informe possa nascere qualcosa è illusorio, ed è e solo una perdita di tempo. Se ci riflettete un attimo l’esperienza di Grillo è significativa da questo punto di vista: lui è partito gridando al mondo la sua verità e ne è seguito un movimento sempre più grande e ramificato. Il grillismo ha un che di messianico e di religioso, e per questo fallirà, ma il suo “marketing” ha funzionato alla grande.
Ho partecipato recentemente all’assemblea abruzzese di ALBA e ho avuto la riprova di quanto detto. Non c’era un ordine del giorno, non c’erano delle linee guida, non uno spunto dal quale partire. E’ accaduto quello che solitamente accade in questi casi: ognuno ha parlato a ruota libera, abbozzando solo lontanamente una qualche proposta, che ovviamente si è persa nel mare magnum della retorica d’occasione e dei soliti rituali consunti, insomma un salto indietro di trent’anni. Manca nel movimento ALBA un’idea forte. Manca la percezione di un’alternativa di respiro europeo, di una rete in grado di elaborare una visione della politica e dell’economia su scala mondiale. E’ troppo? No, se è vero che non c’è più tempo non è troppo. I gruppi di lavoro, i gruppi tematici, le assemblee vanno bene, va tutto bene, ma ci vuole uno spartito, o faremo solo caciara. Non possiamo permetterci che questo movimento, così come i vari occupy il mondo intero evaporino nel nulla. Un centralità è doverosa e necessaria. Rifondazione può dare una mano in questo, considerando la sua distribuzione territoriale e le sue capacità organizzative, a patto di mettere da parte le sue mire egemoniche. Anche SEL può essere utile se la smette di balbettare.
Insomma ho molti dubbi, ma purtuttavia non intendo abbandonare questa esperienza. Voglio darle una chance prima di darmi alla latitanza o turarmi il naso e votare Grillo. Vorrei solo che i professori non scambiassero la sonnolenza post-prandiale per mitezza ed empatia.
Si facessero sentire, sul serio.(F.C.).

Giovani senza lavoro: la ricetta di Gallino

da stamptoscana

Record storico della disoccupazione giovanile in Italia: quel 36,2% di tasso di disoccupazione della fascia fra i 15 e i 24 anni impone la ricerca di una soluzione

Firenze – E una proposta che sembra orientata verso un “keynesismo” puro giunge dal sociologo, scrittore, docente di sociologia, fra i massimi esperti del rapporto tra nuove tecnologie e formazione, nonché delle trasformazioni del mercato del lavoro  Luciano Gallino, che ha portato il suo contributo alla due giorni di Alba, il nuovo soggetto politico della sinistra radicale, che si è tenuta a Parma nel fine settimana scorso. Il documento, disponibile sul sito http://www.soggettopoliticonuovo.it/ , è stato modificato nel corso di un intenso confronto il cui risultato sarà on line, disponibile al pubblico, nei prossimi giorni. Intanto il documento di Gallino propone 5 punti chiave che potrebbero rappresentare  la proposta base per affrontare la disoccupazione con una nuova metodologia. Del resto, come dichiara lo stesso Gallino all’inizio del documento, “sgravi fiscali, investimenti in grandi opere, incentivi alle imprese perché assumano, sono poco o punto efficaci per creare rapidamente occupazione”.
La proposta di Gallino, come in un novello New Deal, si incentra sostanzialmente su un principio base: “Occorre che lo stato operi come datore di lavoro di ultima istanza, assumendo direttamente il maggior numero di persone”.  Come? Articolando una serie di interventi di cui la testa di ponte potrebbe essere la creazione di “un’Agenzia per l’occupazione simile alla Works Progress Administration del New Deal americano (works = opere pubbliche)”. Con un doppio canale: “l’Agenzia – scrive Gallino –  stabilisce i criteri di assunzione, il numero delle persone da assumere, il livello della retribuzione,  i settori cui assegnarle”. Ma le assunzioni verrebbero però “effettuate e gestite unicamente su scala locale, da comuni, regioni, enti del volontariato, servizi del lavoro,  ecc”. Stabilita l’Agenzia, ci sarebbe da puntualizzare l’obiettivo. Il documento di Gallino dichiara “Per cominciare si dovrebbe puntare ad assumere rapidamente almeno un milione di persone. Poiché tale numero è inferiore a quello dei disoccupati e dei precari, occorre stabilire inizialmente dei requisiti in cui i  candidati  dovrebbero  rientrare. Un requisito ovvio potrebbe essere l’età: per esempio 16-30 anni, oltre ovviamente alla  condizione di disoccupato o precario”. Resta inteso, e puntualizzato nel testo, che l’Agenzia dovrebbe offrire lavoro a chiunque sia in possesso dei requisiti richiesti e atto al lavoro.
Altro punto qualificante, “le persone dovrebbero essere impiegate unicamente in progetti di pubblica utilità diffusi sul territorio e ad alta intensità di lavoro”. Bocciate le grandi opere, considerate prive delle caratteristiche puntualizzate, gli esempi riguardano la messa in sicurezza di edifici scolastici (oggi il 50% non lo sono), il risanamento idrogeologico di aree particolarmente dissestate, la ristrutturazione degli ospedali (nel 70% dei casi la loro struttura non è adeguata per i modelli di cura e di
intervento oggi prevalenti). Progetti che richiedono, specifica la nota, ogni sorta di figure professionali.

Infine, problema finanziamenti. Un punto su cui spesso scivolano fior di proposte. Per quanto riguarda il “metodo Gallino”, si parte da un’ipotesi molto credibile: mettiamo che ogni nuovo occupato costi 25.000 euro.  Per crearne un milione occorrono 25 miliardi l’anno, la maggior parte dei quali, fa notare l’economista, rientrebbero immediatamente nel circuito dell’economia. E, per quanto riguarda il finanziamento, si può immaginare “una molteplicità di fonti: fondi europei; cassa depositi e prestiti;  obbligazioni mirate; una patrimoniale di scopo dell’1% sui patrimoni finanziari superiori a 200.000 euro”. Ipotesi, quest’ultima, non così preregrina in Europa, visto che la Svizzera la applica, come ci informa Gallino, da almeno mezzo secolo. Oltre a questi esempi, l’economista consiglia di considerare altre fonti,  come la possibilità di offrire ai cassintegrati di lunga durata la scelta  “se lavorare a 1000-1200 euro al mese piuttosto che stare a casa a 750, a condizione che sia conservato il posto di lavoro (è possibile, con l’istituto del distacco)”. Anche chi riceve un sussidio di disoccupazione potrebbe accedere a un meccanismo simile: “In questi casi  – conclude la proposta – l’onere per il bilancio pubblico (includendo in questo l’Inps) scenderebbe di due terzi. Infine va tenuto conto che molte imprese sarebbero interessate a utilizzare lavoratori pagando, per dire, soltanto un terzo del loro costo.

DOPPIOCIECO

Per una Razionalità Moderatamente Pluralista